venerdì, febbraio 27, 2009
Stripgenerator
Stripgenerator è un'applicazione web che consente di creare (creare?) una strip con qualche movimento del mouse.
Si fa fatica a trovare metafore capaci di sdrammatizzare questo software mostruoso. Il McDonald del fumetto? Cucina precotta? I quattro salti in padella assomigliano al cibo più di quanto Stripgenerator possa produrre qualcosa che si avvicini a una strip.
C'è dietro un'idea detestabile: a mettere giù tre quadretti in fila non ci vuole gran che. Non sapete disegnare? Perché serve? Tempo fa, in una discussione nata su questo blog, Cius, collaboratore di Balloons, ironizzò: "…per fare strisce non è necessario saper disegnare. Basta rendere l'idea nelle strip...i personaggi potrebbero essere benissimo 'stampini' ripetuti in base alle situazioni."
Tante volte ci è capitato di sottolineare come la strip sia un mezzo popolare di comunicazione. Tanti le disegnano, nei diari, in quadernetti, come prima forma espressiva per avvicinarsi al fumetto. C'è la stessa voglia generazionale di strimpellare la chitarra. Certo che se dovessimo produrre un cd per tutti quelli che si divertono a suonare un po' per gli amici sarebbe un dramma sociale. Poi è arrivato il web, tutti possono mandare sugli schermi qualsiasi porcata, alimentando spesso presunzioni ingiustificate. Nessun problema, il mouse è molto più selettivo del telecomando, ci fai clic una volta e poi mai più.
Ma con questa roba preconfezionata, davvero che gusto c'è? Chiunque scriva o disegni ha un piccolo pubblico. Fosse anche un lettore solo, se la mamma e la fidanzata si sono stufate: se stessi. Che piacere c'è a riguardare quello che si è prodotto, quando sarà così prefabbricato e simile a quello degli altri?
Eppure nelle Striptistics (almeno questo è spiritoso) risulta che i blogger utilizzatori sono oltre 25.000 e le strip oltre 200.000. Forse non un fenomeno sociale, di certo il girone dantesco dell'omologazione.
Eppure tra questi 25.000 c'è gente talmente folle da spremere al massimo l'applicazione, avere visioni e congegnare persino qualcosa di creativo con gli elementi precotti, come negli esempi sotto.
Il vero guaio è che molti disegnano a mano tavole che sembrano quelle prodotte da stripgenerator. Pupazzi rigidi e dialoghi. Optional battute.
Di arnesi simili ne esistono molti altri, a conferma della popolarità delle strisce con ingredienti pronti. Più comprensibile, ad esempio, è divertirsi sognando una propria striscia di Garfield. In fondo la striscia del gattone è un po' rigidina anche nell'originale e si presta. Su ReadWriteThink invece una risata alla Dario Argento subito saluterà il vostro progetto di comics. Altri esempi si trovano sul colorato toondoo.com e su stripcreator.com.
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giovedì, febbraio 26, 2009
I Bernasconi di Lido Contemori
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mercoledì, febbraio 25, 2009
Panda Likes di Keison
Giacomo Bevilacqua, Keison lo pseudonimo, formazione da aspirante professionista del fumetto e dell'illustrazione, Liceo Artistico più Scuola Internazionale di Comics, è stato arruolato dall'Eura Editoriale già a 22 anni. Ha nel curriculum un numero di Detective Dante. Fumetti industriali prodotti a catena di montaggio, genere Skorpio e Lanciostory, amatissimi da un vasto e fedele pubblico, fumettoromanzi, non proprio la nostra tazza di tè. "Panda Likes", apparsa sul web lo scorso anno, è il suo delizioso diversivo quando scappa dal lavoro seriale su commissione, sotto sceneggiature altrui. Ancora una volta il genere comic strip rivela la vocazione artigianale, forma espressiva perfetta per cesellare una propria visione del mondo, da soli nella propria bottega, fondendo parole e disegni.
È una piccola idea sviluppata in tanti modi diversi e davvero imprevedibili. Un canovaccio base elementare e rigido, ripetitivo, secondo una tradizione antica del genere che risale al triangolo emotivo di Herriman in Krazy Kat. Ancora più semplice: un Panda e quello che gli piace. Il gioco, quello che ha fatto innamorare tanti lettori, costruito su piccolo umorismo e poesia, va avanti scoprendo le infinite sfaccettature del mondo che possono essere apprezzate e amate. C'è dietro un'innocenza recuperata, una malizia infantile, un piacere per lo svago candido, tutta roba che può creare dipendenza giornaliera in questo mondo faticoso. "Panda Likes.." è proprio un modo di guardare il mondo. Dura pochi secondi di sollievo e sorpresa, aria fresca per l'autore, che racconta di non poterne più a volte di "tutti i mostri, il sangue e le decapitazioni" disegnati per lavoro, e anche per i suoi lettori. Una boccata sino al prossimo turno.
Il layout delle tavole si sviluppa su tre strisce vignette larghe e orizzontali. L'orsetto mostra tre cose che gli piacciono, a volte slegate casualmente, altre volte collegate su un tema. Spesso diventata una metastriscia che si mette a scherzare sui confini stessi del fumetto.
Il panda è disegnato con la sapiente e ingegnosa semplicità tipica di chi sa far ben altro e vuole scappare dal realismo. Lo stesso si può dire del minimalismo veloce delle scene.
Probabilmente nata per caso, la serie ha preso mano e cuore di Bevilacqua grazie anche al culto dei fan (un giro di oltre trecento visite affezionate e giornaliere e 75 lettori fissi), diventando anche un prodotto da mostre e gadget. Così semplice e riproducibile ha conquistato anche la simpatia di tanti altri disegnatori come mostra la pagina dei tributi.
Eppure, il rischio della banalità e del già visto era forte. Il panda è l'icona universale del WWF, scelto apposta grazie al suo potenziale emotivo per gli umani, con quell'aspetto da orsetto bianco, dolce e mascherato (e non tanti sanno che invece nel mondo degli animali è una delle bestie più stronze per caratteraccio e pessime abitudini). Figura super abusata nei cartoon per l'infanzia. Ripescato dalla matita talentuosa di Bevilacqua dimostra ancora una volta che non sono importanti gli ingredienti ma come si cucinano, non quello che si racconta ma come si narra.
Sotto uno scambio di vestiti con Inkspinster, contributo omaggio di Deco.
A noi di Balloons piace Panda.
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martedì, febbraio 24, 2009
Inkspinster
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lunedì, febbraio 23, 2009
Palmiro di Sauro Ciantini
venerdì, febbraio 20, 2009
The Knight Life
Vi ricordate di Keith Knight? Ne abbiamo parlato in un articolo su Balloons un po' di tempo fa. Uno degli autori allora emergenti del vasto panorama americano delle comic strip. Dopo la sua vittoria, nel 2007, degli Harvey Awards, la carriera da cartoonist di Knight ha ottenuto meriti ed elogi più che giustificati, portandolo in breve tempo nell'olimpo delle comic strip. (la prima strip del 6 aprile 2008)
Le sue strisce sono state apprezzate da autori di tutto rispetto, gente come Spike Lee, Garry Trudeau o Aaron McGruder, dei Boondocks, suo amico da sempre.
Adesso, ai suoi precedenti lavori, racchiusi in tavole più o meno lunghe, come ad esempio le "K Chronicles", o in vignette con la battuta pronta e diretta come "Life little victories" o "(th)ink", si affiancano delle strisce in un formato più "abituale", le classiche a tre riquadri, distribuite dalla United Feature Syndicate dall'aprile del 2008 sotto il nome di "The Knight Life" (disponibili dalla prima all'ultima sul sito del Syndicate da quando ha aperto gli archivi al pubblico del web).
Lo stile è sempre essenziale ma in grado di raccontare perfettamente le espressioni e gli umori dei personaggi, segue perfettamente la sgangheratezza del mondo raccontato: il tratto è dinamico e gettato su carta in bella, senza ripensamenti, col pennarellone e qualche (poche) rifiniture di contorno. Gli sfondi inesistenti, gli oggetti pochi, l'umanità tanta e strabordante da ogni angolo delle vignette.
I personaggi si scompongono in boccacce e a tratti paiono marionette, tirate come sono le espressioni e i movimenti, tutto ad enfatizzare il tempo comico della strip.
Sbilanciandoci nel vuoto, legati per i piedi, con una benda sugli occhi, ci sentiamo di osare e crediamo fiduciosamente che questa ottima strip, spassosa e divertente al punto giusto, possa finire nelle nostre edicole tradotta in italiano in qualche mensile dedicato ai fumetti (ce ne sono decine, in fondo) trovando il suo spazio e il suo perchè anche all'interno dei confini dell'italico stivale.
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giovedì, febbraio 19, 2009
I Bernasconi di Lido Contemori
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mercoledì, febbraio 18, 2009
Bonny-Ed di Emanuele Di Dio
Emanuele Di Dio - "ED!" la firma sulle strisce - è uno che si sbatte. Molto, dappertutto, con una tenacia ammirevole. Sempre in tour per fiere, manifestazioni, ritrovi vari del fumetto nella penisola. Arriva e si propone. Un sito-blog, ma non basta. Poi scrive mail, si segnala. Disegna e si autoproduce. Dopo un esordio con Lillliput, è stato uno dei primi titoli di questa piccola casa editrice on demand (vale a dire stampava le copie su richiesta del lettore), è passato alla gestione in proprio della tipografia, pubblicando due raccolte ben curate, davvero ineccepibili dal punto vista grafico. Lo immaginiamo nella sua stanzetta, circondato da teschi, scheletri e ossari vari, ripetersi "voglio diventare un autore di fumetti, voglio, fortissimamente voglio".
Ci è capitato tra le mani, in una fumetteria di Milano (il che farà molto piacere un autore che si distribuisce da solo), il secondo volume di Bonny-ED, "Anderground - tre metri sotto terra". Anderground scritto con la A rovesciata, in tutti i credits del libro troverete questa eterna voglia goliardica di fare un po' gli alternativi. Conoscevamo già ED, ma questa volta ci siamo detti: portiamolo a casa e mettiamo su il disco davvero, proviamo a farlo girare tutto con attenzione.
Verrebbe voglia di coccolarlo un po', un autore implume (anche se ormai sbattendosi qui e la il tempo è passato e si avvicina ai trenta) con questa voglia. Solo che non si sa mai come maneggiare questi anatroccoli cocciuti che vogliono diventare cigni. Le prime tavole erano davvero acerbe. Molto immature. E a parlarne si rischiava la stroncatura tra un incoraggiamento e una pacca sulle spalle.
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Apriamo una parentesi sulla dura vita di chi per passione fa il talent scout e azzarda qualche recensione. Proponendosi a destra e sinistra in occasione della riedizione autarchica delle prime tavole, Di Dio raccatta un po' di minischede, recensioni è una parola grossa. Le trovate sul suo blog, un tenace come lui si motiva anche ritagliandole e appendendole su una parete web. Molti giri di parole per descrivere un fumetto che si vuole soprattutto incoraggiare cercando il più possibile spunti positivi. Il massimo della critica (vera) è che qualche volta le battute sono un po' telefonate. Incappa però anche in una recensione dura, di quei tackle che andrebbero picchiati solo ad autori maturi. Non ci va qui di riportarla, andatevela a leggere nel caso. La tira Marco Arnaudo, testa d'uovo di intellettuale emigrato negli USA che non disdegna i fumetti (è coautore con Dito' dello Struzzo metafisico). Grazie all'interattività di Internet, inutile in questi casi, ne nasce una polemica rovente, trascinata e poi tagliata. Nel merito le osservazioni del critico erano condivisibili. I peccati di gioventù della striscia tanti. Il punto che ci interessa qua è un altro. Non si replica mai ad una recensione cattiva. Mai. L'abbiamo detto? Meglio ripetere: si incassa e basta, si guarda il ventesimo del bicchiere pieno, qualcuno si è dato pena di scrivere sul mio lavoro. Si va a schiumare la rabbia nel terrazzino, in giardino, in bagno o nel pianerottolo e poi si prova a estrarne il messaggio. Diversamente continua questo mondo di "siamo tutti bravi e incompresi". Ma nella diatriba Di Dio tira fuori un'altra prospettiva che abbiamo sempre condiviso. Con un autore che inizia è inutile pestare, meglio ignorare. Ed è per questa ragione che qui fingiamo di non vedere tanti brutti anatroccoli, specie se continuano a rimanere tali.
La buona novella, o meglio, opinione è un'altra: Di Dio comincia a svolazzare meglio. Comincia. Ed è tempo di segnalarlo.
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Due amici, senza un nome, uno con la testa di zucca, l'altro un teschio di pezza. Chiacchierano, si prendono in giro, vagano in un indefinito universo adolescenziale. Di Dio usa ingredienti molto facili da trovare nei supermercati del fumetto, vecchi come le nostre bisnonne. Una predilezione per il macabro, mai vista una generazione che non ne vada pazza. L'autocommiserazione dell'essere sfigati, la ragazzina irraggiungibile. Verrebbe da dire: guarda che Schulz ci ha già tirato fuori tutto con Charlie Brown e con un talento irraggiungibile. Ma va bene così. Di suo Di Dio ci mette un disegno che migliora continuamente, un po' ondivago come influenze tra il Disney italiano e i manga, scelte di inquadrature articolate già da mestierante. Buon tratto, sicuro, buona colorazione. Come nella tavola sotto. Salvo poi cadere in alcuni stereotipi, anziché divertirsi a sbeffeggiarli, come ci aspetteremo da un autore di comic strip. La ragazzina è perfetta, un po' troppo, niente di surreale, come quelle dei sogni degli adolescenti, come quelle che non trovi mai in giro, come una Winx (d'accordo anche Frank Cho le fa così belle, ovviamente diverse secondo i suoi sogni notturni, ma lì il gioco sta nel contrasto con i personaggi da cartoon). Ha i capelli blu anziché rossi, è stranamente abbronzata (tutte le bellone di Ed hanno passato ore di lampade, chissà perché), ma la tematica è quella, uguale da quando iniziò l'epoca del romanticismo.
Ci chiediamo poi se fuori dalla TV e dal modello dei serial USA davvero in Italia qualcuno si rivolgerebbe mai ad una ragazza chiamandola bambola.
Altre strisce sono ben costruite. Come questa sulle guerre di religione, l'idea è ottima anche se si sviluppa un po' macchinosa nel testo.
Altre sono ben congegnate anche se le battute giravano e girano ancora. In una scena dell'attuale campione ai botteghini, il film "Ex", la battuta finale è la variante "guarda che ha sbagliato numero". Nessuno denuncerà per plagio, ne siamo sicuri.
Ci sono poi tavole dove l'autore ci azzecca proprio. Eppure bastava poco, osservare la realtà e rigirare la frittata bene, come in questa sugli strani film che si finisce per scaricare da internet.
Di Dio dovrebbe fare il contrario di Leopardi, slegarsi dalla sedia e girare, magari smettere di portare la gobba per saloni e rassegne del fumetto e riflettere su quello che succede intorno. La tecnica per tirare fuori le tavole c'è, si tratta di sorprendere il lettore.
Di Dio ha scelto per tutor il folle Makkox chiamandolo all'introduzione del suo libro. È uno spasso leggere come uno come lui, il Marco Dambrosio alias Makkox, che della filosofia pane al pane, vino al vino, ne ha fatto un eccesso di vita, si aggrappi ai vetri nella prefazione, nonostante la richiesta di non scriverla come una marchetta. Eppure anche dal vate prescelto ci sarebbe da imparare, osservandolo bene quando tratteggia strip. Il Makkox ha passato anni di bacchettate e botte da una zia arpia per imparare la tecnica di disegno. Ma sarebbe diventato solo un figurinista se poi non ci avesse sguinzagliato sopra una malsana e sghemba visione del mondo.
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martedì, febbraio 17, 2009
Inkspinster
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lunedì, febbraio 16, 2009
Palmiro di Sauro Ciantini
venerdì, febbraio 13, 2009
Pubblicità e comic strip (16 – Quando le strisce promuovevano se stesse)
Agli inizi del secolo scorso, l’epoca d’oro della guerra editoriale negli USA tra le testate del gruppo Hearst e quelle di Pulitzer, i personaggi delle strip erano come star del cinema. In questa pubblicità rivolta agli inserzionisti i terribili Katzenjammer Kids, da noi Bibì e Bibò, sono accostati a Laurel e Hardy, i nostri Stanlio e Olio. Con toni candidi e diretti si spiegava ai potenziali clienti il grande richiamo dell’inserto domenicale a fumetti. In milioni di case i bambini chiedono ai genitori di poter andare a vedere i due grandi comici. Mamma e papà li accompagnano volentieri perché anche loro si divertono. Con un salto semplice e sconosciuto ai nostri cervellotici pubblicitari, si aggiunge che arrivata la domenica le famiglie allo stesso modo riversano la loro attenzione sullo show delle coloratissime comic strip.
Stare sulla pagina dei comics garantiva un ritorno enorme. “The comic Weekly”, lo slogan era “everybody reads the comics”, tutti leggono le strisce. Gli spazi lasciati alle inserzioni erano limitati e per ciò preziosissimi, niente a che vedere con l’affogamento, ad esempio, dei nostri free press. Il supplemento del gruppo Hearst ospitava trenta delle più famose serie del tempo in sedici pagine a colori. Denominato Puck negli anni trenta, riusciva a raggiungere con le varie testate del gruppo sei milioni di case in 995 città, dodici milioni di adulti e sette milioni di adolescenti. Una quantità di contatti di qualità da sogno anche per la pubblicità televisiva oggi. Questo uno solo dei supplementi, poi c’erano tutti quelli dei concorrenti e l’infinità di giornali rurali. Una costellazione di pagine di comic strip difficilmente ricostruibile oggi per gli appassionati studiosi.
Conquistare i lettori era una guerra a colpi di fumetti colorati, iniziata molto prima, come annunciava questo vivace poster con il mitologico Yellow Kid di Outcalt. “Ogni giornale è esaurito prima delle dieci di mattina”, battiamo tutti. Il New York Journal ha per gli appassionati di fumetti un posto fondamentale nella storia. Rilevato da Hearst, fu rilanciato con uno strepitoso inserto a colori domenicale, uscito per la prima volta il 18 ottobre 1896 preceduto da un battage pubblicitario che ne esaltava gli splendori cromatici.
Il pubblico era quello delle famiglie. Non a caso la striscia più popolare della storia è stata Blondie, come annunciava questa pubblicità del 1948. Al culmine del suo successo aveva raccolto le sottoscrizioni di oltre 1200 quotidiani, una cifra mai più raggiunta da nessun altra serie.
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giovedì, febbraio 12, 2009
I Bernasconi di Lido Contemori
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mercoledì, febbraio 11, 2009
Comics Sherpa
Comics Sherpa è un settore del grosso sito della GoComics, uno dei syndicate più potenti. È un servizio, si paga una piccola tariffa, dieci dollari per un mese, otto e venticinque anticipando un anno (sono appena 6,35 euro). Permette ai cartoonist esordienti, in realtà anche ai professionisti che intendono sperimentare nuove serie, di cominciare ad avere un pubblico, mostrarsi all'editoria, verificare le reazioni, pubblicando le nuove strisce nello stesso sito dove trovano spazio i cartoonist più famosi.
Il nome deriva quello delle guide del Nepal, gli Sherpa, note per accompagnare con esperienza le spedizioni alpine in territori perigliosi. In parallelo evoca un aiuto e una vocazione del syndicate verso le nuove creazioni nel mondo delle comic strip. Come racconta l'introduzione, i distributori hanno fiducia che "il prossimo Larson, Trudeau o Watterson sia da qualche parte e attenda di essere scoperto". E questa non può essere che la finalità del disturbo e della fatica che il syndicate si prende. A differenza di quelle piccole case editrici italiane che vivacchiano sui sogni degli aspiranti poeti e romanzieri facendosi pagare per pubblicare i loro manoscritti, per la GoComics qualche migliaio di euro derivante dalle tariffe chieste agli esordienti è davvero nulla. Il prezzo ha il valore di selezionare un primo impegno.
La gestione del proprio spazio è davvero facile, come in qualsiasi altra pagina di un servizio di blog. Si mette a disposizione dei lettori un archivio, le strisce possono essere pubblicate "fresche" secondo un calendario, i titoli delle serie sono elencati in un indice come quelle dei grossi nomi. Vengono forniti anche altri servizi interattivi con il pubblico, quali i commenti e i voti. Questi ultimi in realtà molto criticati perché in questo mondo di coltelli affilati si è scoperto che molti autori, oltre a organizzarsi proprie claque, cercavano di danneggiare gli altri affibbiando una misera stella.
Per un autore di strip italiano uno sguardo è utile. Un sano bagno di umiltà quando si comincia a credere, dopo quattro complimenti, cinque mail e sei commenti di nuovi fan, di aver realizzato un capolavoro. La sensazione sarà quella di essere uno dei tanti pinguini sulla lastra prima di tuffarsi. Sono in tanti a sgomitare ed è stupefacente trovare tanta buona qualità, maestria nel padroneggiare il genere, eccellenti capacità di disegno, senso dell'umorismo e dei tempi. Certo, quasi sempre non nella stessa striscia ma ci si affaccia lì anche per cominciare a dare un senso a quello che si produce e trovare stimoli per migliorare.
Forse la strada più facile è quella della creazione di una striscia silente, tipo Lio di Mark Tatulli. Oppure si affronta l'ostica questione di una traduzione che renda tutte le sfumature e non suoni goffa al lettore yankee.
Il gioco vale il candelabro, davvero imponente. Sbarcare negli USA è il sogno anche della FIAT. Un mercato editoriale immenso, 50 stati unificati da una sola lingua, migliaia e migliaia di grandi e piccoli quotidiani, una tradizione nel genere comic strip che risale alle prime rotative a colori.
I manager di GoComics parlano di migliaia di visite e al di là delle dichiarazioni trionfalistiche è molto probabile che gli appassionati possano saltare da Doonesbury, Zits e Bloom County alle strisce novelle più facilmente che andandole a scovare su un remoto e solitario sito autoprodotto.
La storia di Comics Sherpa è anche quella della realizzazione delle ambizioni. Sono numerose le strip che già nel 2007 sono state promosse tra i grandi del sito. La più popolare oggi è Bob The Squirrel. Il sito educa anche alla disciplina richiesta dal gioco della striscia sindacata, come racconta il suo autore Frank Page, passato dal ritmo settimanale a quello giornaliero.
Non sono sempre dollari, speranze, fiori, lettori e rose. Talvolta s'incappa nell'occhiuta censura del syndicate e gentilmente ti mandano una mail per rimuovere qualche disegno. Niente sangue, i personaggi dei cartoon si possono pestare ma nulla di visibile, alla larga splatter e similia. Il confine del sesso è situato alla menzione di mutande e reggiseno, lì arriva lo stop. Insomma se avete roba peccaminosa che può turbare i quaccheri della distribuzione lasciate perdere e fate da soli.
Sognate di diventare cartoonist professionisti? Vi siete mai chiesti dopo quanta selezione si arriva in serie A? E come mai gli USA continuano a sfornare nuove strisce di alto livello? Brian Walker nel volume "The comics since 1945" ricostruisce così la situazione. Ognuno dei grandi syndicate americani, King Features, United Media ecc, riceve annualmente circa 5.000 candidature. Di queste richieste solo una dozzina più o meno si trasformano in contratti di distribuzione. Segue un periodo che va da sei mesi a un anno prima del lancio in una decina di quotidiani, dopo un duro lavoro promozionale per convincere le redazioni a sottoscrivere la nuova strip. Di queste nuove serie solo il 40% circa riuscirà a superare i due anni di pubblicazione.
Ma è poi così fantastico diventare professionista, come descrive Al Scaduto in questa splendida e angosciata tavola? Oberato dalle scadenze, immerso in un mare di fogli deve subire la parlantina di un tuttofare sfaccendato che gli dice in un tremendo inglese stradaiolo cose come: "che bella occupazione, non fai il pendolare, nessun padrone, dormi fino a tardi quanto vuoi, tutto liscio come l'olio…potrei passarti un zilione di battute, ci faresti una comic strip, ti darei io le idee e non devi nemmeno pagarmi e blabla..." E oltre a tutti questi benefit ti becchi conversazioni effervescenti da qualsiasi spensierato a portata di orecchie.
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martedì, febbraio 10, 2009
Inkspinster
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lunedì, febbraio 09, 2009
Palmiro di Sauro Ciantini
venerdì, febbraio 06, 2009
Mr.Wiggles di Neil Swaab
Andiamo a vedere il fondo nero e cupo delle comic strip. Che poi, sono un genere di fumetto ma anche un medium indefinibile, mezzo di comunicazione di massa, con una gamma di contenuti infinita, come altre volte abbiamo accennato.
Con un po' di coraggio, perché Mr. Wiggles è una striscia imbarazzante ancor più che spiazzante. Tutto si vorrebbe essere fuorché bacchettoni: racconta quello che vuoi, puoi stupirmi, annoiarmi ma non riuscirai a mettermi a disagio. E invece in questo caso non è così. Ma la vocazione di Balloons è raccontare questo universo, anche quando ti servono un paio di pinze enormi per maneggiare il tema.
Lo spunto per parlarne ci è arrivato riflettendo su quanto raccontava Frank Cho circa le censure subite. Se Liberty Meadows ha passato tagli e biasimi che fare di Swaab e delle sue tavole? Attaccarlo a un palo in piazza e dare fuoco alla pila di strip sotto, come un Savonarola?
L'autore si chiama Neil Swaab, un illustratore freelance che pubblica fumetti, come dice nel suo sito, "self-syndicated" (e ci crediamo, roba da far cadere la tazza dalle mani dei burocrati distributori) e collabora nel sottobosco editoriale alternativo americano. Mr. Wiggles oltre che sul web - nell'archivio del sito ufficiale sono disponibili tutte le strip - appare su una lunga serie di poco conosciute riviste (una si chiama elegantemente Toilet Paper e il nome farà suonare un campanellino a chi conosce l'omonima fanzine italiana). Fuori dai confini è arrivato in un magazine della nuova Russia di Putin e. come ricorderemo tra poco, su un ottimo periodico italiano.
La strip ha due protagonisti principali. Un orsetto disegnato carino, Mr.Wiggles, affetto da una lista di pessimi vizi come alcolismo, tossicodipendenza e erotomania in tutte le varianti immaginabili e non di perversione. Gli fa da spalla Neil, ragazzo ebreo con problemi di calvizie, autostima in perenne riserva, pessime relazioni sociali specie con le donne. Appaiono ogni tanto vari comprimari, una psicologa che segue Mr. Wiggles, donnacce di malaffare, preti, bambini sperduti, persino Gesù.
Due le raccolte pubblicate sin ora. "Rehabilitating Mr. Wiggles" contiene 140 strisce ed è arrivata in Italia con una edizione arricchita di alcune tavole italiane, a cura della Fusi Orari, nella collana libri della rivista Internazionale che, come abbiamo segnalato, ospita la striscia nella sua ardita pagina di comic strip. Grazie all'appoggio del magazine gode di un'ottima distribuzione nelle edicole ed è facilmente reperibile. Il secondo volume è invece disponibile solo in lingua originale.
"Suggested for mature audiences" si legge nelle schede di presentazione. E la raccomandazione non è tanto scontata, primo perché l'orsetto può fuorviare, secondo perché nel mondo dell'illustrazione per l'infanzia esiste un altro quasi omonimo Mr. Wiggle, un personaggio di cartoon didattici, pensate un po', che educa i bambini all'amore e cura per i libri. Quello di Swaab invece dialoga in modo disinvolto su qualsiasi argomento politicamente scorretto, su pedofilia, masturbazione, sodomia, varie ossessioni sessuali, droga, malessere sociale, prostituzione, persino coprofagia e derisione dei portatori di handicap. Nessuna pornografia visibile, niente di pruriginoso, se vi aspettate angolazioni del genere sappiate che l'effetto è nauseante, tutt'altro che un possibile sollazzo onanistico. Il disegno è volutamente rozzo, spesso statico, l'oscenità è tutta verbale, sta nelle conversazioni, sovente verbose e prolisse. Ma soprattutto terrificanti. Occorrerebbe verificare gli archivi: non sappiamo se nella pagina sull'Internazionale arrivino solo le strisce più tranquille. E tante poi lo sono davvero. Swaab, del resto, conosce bene grammatica e sintassi dei tempi nell'umorismo da strip.
Mr. Wiggles ha i suoi bravi estimatori. Perché piace lo scopri nei blog: ne declamano il gusto acido e provocatorio come una ventata di freschezza. Molto asettica invece Wikipedia nel definire la strip, ma si sa, le enciclopedie tracannano qualsiasi voce pur di aggiungerne una alla collezione.
È un viaggio verso l'orrore, il cuore di tenebra delle comic strip? Non crediamo, Mr.Wiggles non ha questo valore epico o evocativo ed è sorretta da un disegno modesto e una scrittura elementare. Esorcizzante, liberatorio? Solo una provocazione, banalmente eccessiva e facile?
Osservandolo nella pagina dell'Internazionale abbiamo scritto che sovente dietro questo genere di satira sociale feroce si nasconde un moralista laico e puntiglioso. Ma le cose non sono così semplici.
Giocare sui confini della blasfemia, ad esempio, può apparire sfidante e in fondo giocoso.
Ma quando si ride e irride da soli dei "ritardati", dando banalmente di gomito al lettore, si fa fatica a trovare l'acido, l'umorismo o il messaggio, se mai ce n'è uno. Il divertente è il cambio di registro? La violazione del tabù? A costo dell'imbarazzo?
In un'altra strip, inutile riprodurla qui solo per il gusto dello scandalo, anche perché il disegno è assolutamente fermo, ancora a sinistra l'orsetto, a destra Neil per tutti i quattro quadri, si svolge questo dialogo:
Prima vignetta: Mr. Wiggles: "Non c'è niente al mondo come la risata di un bambino".
Seconda vignetta: Mr Wiggles: "mentre gli solletichi i genitali con la lingua" Neil: "Oddio Mr. Wiggles, no!"
Terza vignetta: Mr Wiggles: "Che c'è? Ho esagerato?" Neil:"Temo di sì".
Fine.
Scrive Swaab nell'introduzione brevissima alla raccolta: "…sono emozionato dalla prima raccolta in italiano delle strisce di Mr. Wiggles. Spero che questo libro vi piaccia, che vi faccia ridere e che vi faccia pensare anche un po'. E stavolta ho detto la verità."
Che cosa dobbiamo pensare Mr. Swaab?
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giovedì, febbraio 05, 2009
I Bernasconi di Lido Contemori
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mercoledì, febbraio 04, 2009
Il Dilbert della discordia
In un modo o nell'altro quel personaggio di Scott Adams, creatore della strip Dilbert, riesce sempre a far parlare di sè. Sentite cosa si è inventato stavolta e che vespaio ha sollevato una sua stravagante (e, pare, redditizia) idea. Ha aperto a nome della sua famosissima strip, un servizio online di condivisione di file di grandi dimensioni. Dilbertfiles.com, uno di quei siti che permettono di scambiarsi file corposi via internet appoggiandosi ai server di terze parti, in questo caso quelli della società messa su da Adams. Il bello è che questo servizio viene pubblicizzato nelle stesse strip dell'autore che compaiono in migliaia di giornali in tutto il mondo. Questa scelta di auto-sponsorizzarsi ha provocato non poche perplessità e malumori nel mondo dei comics americani.
Alcuni dicono che è una carognata. Adams si difende e dichiara che la gente non ha capito la sua filosofia. Fatto sta che questa bagarre aumenta le visite al sito e la visibilità stessa della striscia (che comunque non ha necessità di ulteriori spinte visto che è una delle più diffuse al mondo). Voi che ne pensate?
Considerazioni personali di coda: ho sempre creduto che la strip di Adams sia una delle più commerciali in circolazione. Segno semplice e non troppo ricercato, battute fulminee, parodie continue sul mondo del lavoro che la fanno entrare di dovere in ogni quotidiano che si rispetti... insomma la strip perfetta per tutte le occasioni. Il fatto è che è dannatamente divertente e riesce con quel suo modo sornione a farsi amare così com'è. Quando si finisce di leggerla si capisce che dietro c'è un lavoro di marketing da paura e non c'è da stupirsi in fondo se nel tempo il sito Dilbert.com sia diventato il massimo dello sfavillio mediatico in fatto di comunicazione: strip a colori, sfondi, giochi, widgets, cartoni animati e ora il servizio di scambio files di cui abbiamo appena detto. Certo un limite a tutto c'è e forse in questo caso il modo irruento in cui la realtà ha preso il sopravvento sulle avventure di Dilbert e ha trasformato il suo mondo surreale in uno spot pubblicitario ha pagato pegno di fronte ad un pubblico che non accetta simili intromissioni.
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