lunedì, marzo 21, 2011

 

Peanuts senza Schulz?



Circolano strane voci su nuovi Peanuts. Rimbalzano nei tanti forum e blog dedicati al culto dell'immensa opera di Schulz. Un'etichetta editoriale detentrice di diritti di riproduzione del vecchio materiale fa circolare immagini equivoche della copertina di un nuovo album di comics in una collana dedicata ai ragazzini. Si pensa vogliano tirare fuori dei nuovi contenuti basati sugli antichi personaggi, aggirando in qualche modo quanto stabilito da Schulz prima della scomparsa: i Peanuts finivano con lui. Forse in tanti hanno preso questa statuizione come un'autoritaria e gelosa disposizione testamentaria. In realtà non era gran che necessaria e tra poco capiremo perché.
Un'operazione nuovi Peanuts è discutibile dal punto di vista creativo ma si sa che il denaro non dorme mai. Voci, solo ipotesi per ora, probabilmente senza seguito come tante. Ma nelle discussioni originate dai bisbigli un punto sollevato è interessante: perché stracciarsi le vesti, in fondo è già successo con Schulz in vita. Come? Prego, di che state parlando? Un punto è sempre stato fermo per tutti noi Peanutsiani storici: a differenza di altre strip realizzate a catena di montaggio (Hart con B.C. aveva una corte di sceneggiatori, tante sono passate di mano e hanno avuto inchiostratori, disegnatori e soprattutto ideatori diversi) Schulz ideava e costruiva da solo le tavole. Dall'inizio alla fine. In tutte non solo scrittura e disegno ma anche inchiostrazione e lettering arrivavano dalla sua mano.
L'affermazione non è del tutto vera. Abbiamo seguito i fili della discussione andando a scovare delle tavole targate a tutti gli effetti Peanuts ma non ideate e non disegnate da Schulz.



Da dove arrivano? È vero che tutti i Peanuts distribuiti nei quotidiani nella forma classica striscia o in quella domenicale provengono esclusivamente da Schulz. Ma durante gli anni '50 e l'inizio dei '60 i Peanuts non furono pubblicati solo nella forma "newspaper strip", striscia da giornale ma anche negli album di fumetti, i "comic book", territorio di solito abituale dei supereroi, gente come Superman and Captain America (sotto uno dei comic book dove apparvero i Peanuts).


All'inizio erano solo ristampe di quanto già era andato nei quotidiani. Poi la banda di Charlie Brown venne sviluppata in quegli album come soggetto autonomo, con storielle un po' più lunghe. Agli occhi dei lettori più attenti e appassionati apparve subito chiaro che qualcun altro stava facendo il lavoro. Schulz fu presto scontento del risultato, qualche volta intervenne di persona e poi si affidò al suo più stretto collaboratore e amico Jim Sasseville. Di quest'ultimo abbiamo fatto conoscenza in Italia quando la serie di vignette "È solo un gioco" (It's only a Game) - da lui disegnata ma progettata da Schulz - è stata pubblicata dalla Free Books con traduzione e adattamento di Luca Boschi (ve ne abbiamo parlato in un precedente post come divertente fantascenario di Peanuts adulti).
Tutto questo è raccontato dallo stesso Jim Sasseville in un articolo dal titolo "
The Ghost in the (Peanuts) Machine" (il fantasma nella macchina dei Peanuts) e in un'intervista da Dale Hale altro disegnatore che sostituì Schulz (rinviamo a questi link chi avesse curiosità di più dettagli sulle vicende di queste tavole).


Le tavole non disegnate da Schulz sono interessanti non tanto per il viziaccio di fare gossip su un buco nero nell'opera immensa di un autore, di scavare nel passato dopo la sua scomparsa. Non è quello il punto. Rivelano - come in un negativo - il rapporto intimo dell'autore con la propria creatura, in che modo quel meccanismo delicato e originale funzionasse solo nella sua testa e nelle sue mani. Schulz era palesemente a disagio con queste strisce: mai compariranno nelle centinaia di riedizioni e raccolte pubblicati, mai saranno citate nelle storie ufficiali e negli aneddoti. Agli occhi di chi abbia un minimo di familiarità con i Peanuts appaiono come taroccate, anche quelle del fidato Sasseville. Qualcosa suona subito falso o improprio. Il minimalismo dei Peanuts sembrerebbe molto semplice e perciò riproducibile. E invece non è così, non era così, neppure per il più stretto dei suoi collaboratori di quell'epoca. L'assistente Dale Hale rese bene l'idea dicendo "
The magic of his thing is the simplicity, and the simpler something is, the harder it is to copy." (La magia del suo lavoro è la semplicità e più semplice è qualcosa, più difficile è da copiare).
Beh, sotto questo aspetto va detto anche che tutti i gadget erano alquanto orribili ma soprattutto nelle
trasposizioni in TV i personaggi apparivano snaturati.
Non è comune e non è da tutti questo stretto rapporto con la propria opera e il proprio soggetto. Abbiamo mille esempi anche fuori dal mondo del fumetto di personaggi o soggetti seriali gestibili da altre mani. Non i Peanuts. Schulz era i Peanuts.
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Nell'articolo uscito qui su Balloons per il decennale della scomparsa di Schulz, "Cosa rimane dei Peanuts", ho manifestato l'idea che ormai i Peanuts debbano essere lasciati in pace, magari persino tolti dallo stato di striscia zombie, ripubblicata ancora su quotidiani e riviste come se nulla fosse. Lasciamoli nell'olimpo delle grandi raccolte, dedicando loro ogni tanto tributi splendidi come questo gentilmente concessoci da Deco.

Deco Inkspinster - tributo per il decennale della fine dei Peanuts

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lunedì, settembre 21, 2009

 

I Love Comix

Articolo a cura di Cius



Non è la prima volta che vi segnaliamo un bell'archivio di comic strip online, gratuito e dai contenuti degni di nota. Ogni tanto ne salta fuori uno. Potenza della rete.: grazie alla voglia di puri appassionati del genere raccoglie e distribuisce copie digitali delle opere che il tempo altrimenti non risparmierebbe all'usura e al decadimento.

I Love Comix è una biblioteca di strisce sul web voluta dal sig. Steve Cottle con l'intento di non disperdere il patrimonio del passato e renderlo così disponibile alle nuove generazioni sotto una forma moderna e accessibile a tutti. L'intera collezione - non di originali ma di stampe d'epoca - del filantropo Steve viene convertita in digitale e organizzata per la consultazione in gruppi e sottogruppi. Le sorprese non mancano. Si parla di autentiche perle del passato. Gioielli per gli amanti del genere che possono essere ingranditi e spulciati per bene sui monitor dei nostri computer. Dopo la carta stampata, con tutta la sua bellezza intrinseca, l'occhio dello scanner è l'unico che riesce a restituirci i colori, le scritte, i tratti dei grandi che hanno fatto storia portandoli dentro le nostre case senza difficoltà. Se avete un monitor bello ampio la goduria poi aumenta in proporzione.



Così mi sono messo a leggere le tavole del 1966 di Pogo, oppure sono andato subito a vedere alcune strisce di Gasoline Alley, tante altre che non avevo mai avuto l'opportunità di conoscere. E altre ancora come Little Nemo o Alley Oop, sempre un piacere da rivedere. Ci sono tavole risalenti anche agli anni '20, roba storica ormai, per ora forse lepiù vecchie. Un vero tuffo nel passato che permette di vedere le radici da cui tutto è partito.




Mi domando tra qualche altra decina d'anni progetti del genere quanto possano rivelarsi importanti per poter rivisitare il percorso che un'arte antica ormai più di un secolo non smette di tracciare anche oggi, seppure con canoni moderni. Sembra tutto molto distante, diverso, affascinante e fuori tempo ma in fondo in quelle tavole c'è già tutto. Anche quello che deve ancora essere disegnato. Se si guarda bene, piano piano ci si riscopre. Negli ammiccamenti , nelle battute, nelle gag, ma anche nei volti, nei gesti, nei modi di fare. Come quando si scopre che il nipotino ride proprio come il nonno o ha gli occhi azzurri della nonna.

Simili "album di famiglia" raccolgono molto di più dell'arte in sè. Ci raccontano chi eravamo e da dove veniamo. Motivo in più per preservarli e contribuire alla loro diffusione. Come nei migliori progetti anche quello di I Love Comix è aperto alla partecipazione e alla condivisione da parte di tutti. È senza scopo di lucro e non permette la riproduzione delle immagini per fini commerciali.

(Questo articolo nasce da una segnalazione comparsa su AFnews pochi giorni fa)

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giovedì, agosto 06, 2009

 

El hombre invisible di El Cubri

El hombre invisible di El Cubri

El Cubri è un nome collettivo, tratto e distorto - si dice per ignoranza ma più probabilmente per gusto dell'irriverenza - da quello del famoso regista Kubrick. Racchiude lo sceneggiatore Felipe Hernández Cava e i disegnatori Saturio Alonso e Pedro Arjona. Il gruppo fu creato nei primi anni '70 e ha realizzato diversi fumetti sperimentali difficilmente rintracciabili perché sparpagliati soprattutto su riviste e periodici ordinari.
La loro storia è collegata al rifiorire del Spagna dopo gli anni neri del franchismo. Per molti anni i responsabili del quotidiano
El Pais, con cui collaboravano come illustratori, furono alquanto cauti e diffidenti riguardo all'inserimento di comic strip nei fogli del giornale. Alcuni pensavano che avrebbero intaccato l'immagine di rigore politico e serietà informativa che negli anni il quotidiano aveva guadagnato (sì, è lui quello delle foto non pubblicate in Italia nella villa del nostro primo ministro, fa parte della famigerata stampa straniera che osa parlarne). Apparivano di tanto in tanto strisce come quelle di Blankito ma con il contagocce. Con gran sorpresa, l'ultima domenica di ottobre del 1985 El Pais pubblica un'intera sezione di comic strip, sul modello di tante altre della stampa internazionale, composta soprattutto pescando tra i classici distribuiti dai grandi syndicate: Andy Capp, Garfield, Il Mago Wiz. Il giornale fa però correre una voce: cercavano anche qualche striscia nazionale tra i disegnatori di strip spagnoli. El Cubri decide di proporsi. Nasce così "El hombre invisible", una delle prime comic strip del nuovo rinascimento ispanico.


LEGGI IL RESTO DELL'ARTICOLO SU EL HOMBRE INVISIBLE...


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venerdì, marzo 06, 2009

 

Peppe e il tostapane di Stefano Tartarotti

Facciamo 14 passi indietro, ognuno pesante un anno, e andiamo a vedere cosa combinava il disegnatore coautore di Singloids, la nuova striscia recensita nell'articolo precedente. Anche perché è divertente osservare l'evoluzione del tratto e l'esordio di un talento nel disegno.

Numero di Linus dell'ottobre 1995. Direttore, all'epoca, Oreste Del Buono, in uno dei suoi ritorni sulla scena. La redazione decide di aprire uno spazio ai nuovi autori. Avete letto bene. Spesso criticata per la scarsa attenzione alla scena italiana, l'ha fatto. E immaginiamo non sia facile, chissà quante tirate della giacchetta. Ogni tanto casualmente e sovente in un quasi anonimato fanno capolino matite italiane novelle. Nell'occasione invece addirittura concesse uno spazio, anche per impaginazione, con dignità uguale a quella dei grandi americani pubblicati. Due turni con quattro pagine per volta per un totale di 30 strisce. Abbastanza per mostrare la stoffa, molto più di certe segnalazioni rachitiche e circondate da filo spinato che troviamo in alcuni magazine specializzati sul fumetto dopo 25 pagine di seghe mentali sui manga.


Il primo ad esordire è un certo Stefano Tartarotti, fresco di diploma a pieni voti della Scuola del fumetto di Milano. Lo accompagna nell'introduzione e all'esame del pubblico, in veste di tutor e vate, un cattedratico della stessa scuola, Antonio Tettamanti. Del protetto sottolineerà il tratto sottile, la leggerezza lunare, la grazia e levità di testo e segno, le influenze di Folon e Mattotti. Avvertendo i primi inarcamenti di sopraciglia, attenua: sotto il caramello c'è un malvagio, dotato della giusta cattiveria per osservare il mondo.


È un universo minimalista di oggetti parlanti e pensanti quello immaginato dal quasi imberbe Tartarotti (e in parte lo ritroveremo in Singloids). L'autore oggi un po' ripudia, come è giusto che sia con ogni lavoro giovanile, Peppe e il tostapane, definendola striscia "confusa". In realtà non era così scombiccherata. Il tratto è già sicuro e personale, preciso, anche se finirà per ammazzare chi gli tira fuori ancora questo aggettivo. Confrontatelo con i suoi lavori professionali nel mondo dell'illustrazione e con Singloids.


Un single, Peppe, un po' malinconico e naif, un tostapane animato, ciarliero e frizzantino che gli fa da spalla e lo tortura. Chiacchiere con altri oggetti. Gag sociali, con umanità varia, ma anche satira politica.


Le posate del cassetto, fan Fininvest, fondano un club Forza Italia. Che depressione e pena rivedere la scena, ci eravamo dimenticati quanto tempo era passato, il 1995, e ancora oggi l'uomo della provvidenza imperversa con più successo e consenso di allora. Ha voglia la satira a graffiare sulle assurdità del fenomeno, a cercare di pungere e far capire. Eravamo minoranza perplessa e divertita e tali siamo rimasti. Anzi, peggio, assuefatti: chi ora ne parla fa la figura del menestrello stanco.


Soggetto ancora vagante, qualche pasticcio nelle trovate, ma la stoffa c'era e anche un buon umorismo. Solo che il lesso per pranzo bisogna procurarselo e Tartarotti dopo qualche altra esperienza casuale con il fumetto, le strip e le vignette, su " Il metallurgico", giornale della sindacato Fiom, e sulla rivista rock "Il mucchio selvaggio", proseguirà un carriera da illustratore free lance. Sue sono le copertine anonime di molti libri invece popolari nelle nostre librerie come quelli di Beppe Severgnini. E poi, ora, con la maturità, la voglia di tornare ad un prodotto con disegni e idee proprie, a qualcosa non più pilotato da altri.

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venerdì, febbraio 13, 2009

 

Pubblicità e comic strip (16 – Quando le strisce promuovevano se stesse)


Agli inizi del secolo scorso, l’epoca d’oro della guerra editoriale negli USA tra le testate del gruppo Hearst e quelle di Pulitzer, i personaggi delle strip erano come star del cinema. In questa pubblicità rivolta agli inserzionisti i terribili Katzenjammer Kids, da noi Bibì e Bibò, sono accostati a Laurel e Hardy, i nostri Stanlio e Olio. Con toni candidi e diretti si spiegava ai potenziali clienti il grande richiamo dell’inserto domenicale a fumetti. In milioni di case i bambini chiedono ai genitori di poter andare a vedere i due grandi comici. Mamma e papà li accompagnano volentieri perché anche loro si divertono. Con un salto semplice e sconosciuto ai nostri cervellotici pubblicitari, si aggiunge che arrivata la domenica le famiglie allo stesso modo riversano la loro attenzione sullo show delle coloratissime comic strip.
Stare sulla pagina dei comics garantiva un ritorno enorme. “The comic Weekly”, lo slogan era “everybody reads the comics”, tutti leggono le strisce. Gli spazi lasciati alle inserzioni erano limitati e per ciò preziosissimi, niente a che vedere con l’affogamento, ad esempio, dei nostri free press. Il supplemento del gruppo Hearst ospitava trenta delle più famose serie del tempo in sedici pagine a colori. Denominato Puck negli anni trenta, riusciva a raggiungere con le varie testate del gruppo sei milioni di case in 995 città, dodici milioni di adulti e sette milioni di adolescenti. Una quantità di contatti di qualità da sogno anche per la pubblicità televisiva oggi. Questo uno solo dei supplementi, poi c’erano tutti quelli dei concorrenti e l’infinità di giornali rurali. Una costellazione di pagine di comic strip difficilmente ricostruibile oggi per gli appassionati studiosi.


Conquistare i lettori era una guerra a colpi di fumetti colorati, iniziata molto prima, come annunciava questo vivace poster con il mitologico Yellow Kid di Outcalt. “Ogni giornale è esaurito prima delle dieci di mattina”, battiamo tutti. Il New York Journal ha per gli appassionati di fumetti un posto fondamentale nella storia. Rilevato da Hearst, fu rilanciato con uno strepitoso inserto a colori domenicale, uscito per la prima volta il 18 ottobre 1896 preceduto da un battage pubblicitario che ne esaltava gli splendori cromatici.


Il pubblico era quello delle famiglie. Non a caso la striscia più popolare della storia è stata Blondie, come annunciava questa pubblicità del 1948. Al culmine del suo successo aveva raccolto le sottoscrizioni di oltre 1200 quotidiani, una cifra mai più raggiunta da nessun altra serie.

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mercoledì, gennaio 21, 2009

 

Liberty Meadows di Frank Cho

"I prati della libertà", Liberty Meadows, ha un'ambientazione curiosa. È un "animal sanctuary", una riserva e ricovero per creature che hanno perso i loro abituali habitat e anche la sanità mentale. Un gruppo di bestie afflitte da vizi e follie molto umane assistite da umani che si arrovellano tra tensioni d'amore e noie psicologiche. La striscia ha un effetto spiazzante per il primo lettore: è un incredibile sinfonia di stili eterogenei. Nelle stesse tavole si affacciano il realismo con cui sono disegnati alcuni personaggi e imprevedibili animali in modalità antropoforme. Temi emotivi o melodrammatici si avvicendano con gag pacchiane e chiassose. Fondali minuziosi e quasi fotografici si alternano a semplificazioni iconiche tipiche delle strip più semplici. E ancora strati di satira sociale, donne da sogno, ammiccamenti al lettore, comparse da altre strip. Un minestrone sorprendente.

Frank Cho ha origini coreane ma una formazione culturale tutta costruita negli USA dove ha vissuto dall'età di sei anni. Come tanti altri autori di comic strip, non viene da percorsi artistici del mondo del disegno ma è un fiero autodidatta. Un talento strepitosamente poliedrico con influenze grafiche derivate dai grandi maestri dell'illustrazione e delle comic strip americane (innumerevoli ma in particolare Frank Frazetta e Al Capp). Ha iniziato a raggiungere, ancora ventenne, un successo su scala mondiale quando è stato messo sotto contratto nel 1996 dal Creators Syndicate. Il suo carattere ribelle si è però manifestato con una creatività decisamente poco confinabile che presto è entrata in conflitto con i limiti posti dai suoi distributori, come ha lasciato trasparire in numerose strisce cariche di ironia sugli eccessi di censura, interferenze e sulla ossessione per il politically correct . Con una scelta coraggiosa e insolita, ha rifiutato nel 2002 la distribuzione e pubblicazione nei giornali - fonte di notorietà e guadagni ricchi e sicuri - per passare a quella esclusiva su comic-book. Rinunciando all'ombrello dei syndicate, le sue strisce, sia le vecchie come le inedite, ora sono reperibili solo nei comic book. In Italia è apparso per diversi anni su Linus, dall'ottobre del 1997 al luglio del 2000.

La raccolta italiana fondamentale è Liberty Meadows - Eden, edizioni Saldapress (pag. 128, 2003). Sono le prime 400 strisce in versione integrale. È un director's cut: molte sono state riviste o persino ridisegnate una volta liberatosi dalle catene dei syndicate. Come racconta Cho, "sono cinque gli argomenti che gli editor dei quotidiani non vogliono nella pagina dei fumetti: sesso, religione, droga, violenza e questioni razziali…ma questi sono gli argomenti di cui desideravo parlare e rappresentare nelle mie strisce." In rete trovate una uncensored gallery, in realtà davvero niente di pruriginoso, volgare o scorretto, dimostra solo quanto gli editor possano essere bacchettoni a filtrare dall'altra parte della scrivania. Suggeriamo una visita anche alle esilaranti FAQ di Cho per farsi un'idea, oltre che dell'ironia dell'autore, delle censure subite dai syndicate. Come rivalsa sul suo sito mette spassosi avvisi per i minori e gli animi sensibili dappertutto, come se foste sempre sul punto di avvicinarvi a una pagina porno.


Spesso ci si trova tra le mani raccolte tradotte (ma sarebbe meglio dire riversate) e pinzate alla buona. Qui invece il volume è perfettamente curato dal punto di vista esegetico, un esempio raro di come con amore si possa portare una strip al lettore italiano.
Le difficoltà non erano poche. Tutto il volume ha una veste grafica riprogettata rispetto all'edizione americana. Con una ricostruzione digitale il lettering è stato riprodotto sulla base di quello fatto a mano dall'autore. La traduzione è costata parecchie notti insonni al bravo Andrea Toscani (sue anche le parole italiane dei
Boondocks, delle nuove raccolte dei "Complete Peanuts" e di tanti altri fumetti): le tavole sono farcite di riferimenti alla cultura popolare yankee, di espressioni gergali, citazioni cinematografiche, televisive, musicali, terrificanti giochi di parole. Tant'è che per aiutare la codifica delle stratificazioni di allusioni ironiche il libro è dotato di un apparato di note degno di una tesi universitaria (125, molte delle quali a loro volta rimandano a indirizzi internet per aiutare la comprensione). Come per il disegno anche nei dialoghi dei personaggi Cho gioca con fulminanti cambi di registro, alternando battute da cartoon con feroce satira sociale.

Tutto iniziò così. Al rifugio per animali cercano un veterinario. La vicende di Frank, innamorato mai dichiarato, e di Brandy, bellezza inarrivabile e ignara, si intersecano con gli spassosi casini degli animali, tutti ammalati, deviati, intossicati, depressi e soprattutto giocherelloni. Il rapporto tra la bellissima e dolce psicologa e il veterinario è un topos, l'amore inconfessato, qualcosa che da sempre per tutti esiste in un angolo di vita, nella letteratura e nel mito con mille varianti, in epopee come Cyrano, fantasticamente qui piazzato a pera in una strip di folli animali parlanti, gag, satira. (sotto le prime 4 strisce della serie)


Il bestiario di bizzarri animali antropomorfi in cura è variopinto. Ralph è un orso nano da circo portato via da un domatore abusivo: non ha però mai smesso di amare il rischio e sprezzante del pericolo fa il casinista con ammirabile disinvoltura.


Leslie è una rana toro, amico di Ralph, ipocondriaco fino al midollo. La coppia, assortita come nutella e spaghetti, per le gag farebbe la fortuna di una decina di buddy film.


Dean è un porco. Anche metaforicamente. Sciovinista e assatanato di sesso, ci prova sempre con tutte le bellezze di Meadows. Le ragazze tutt'altro che miti e passive lo pestano senza pietà. Sta a Liberty Meadows per disintossicarsi da alcool e soprattutto tabacco (oddio, si fuma nella strip).




Truman è un tenero anatroccolo naif, scampato a un tremendo incidente petrolifero, sempre in cerca delle coccole di Brandy che ama perdutamente. Fa coppia con un wiener dog, un pestifero e invadente bassotto di nome Oscar, goloso fino all'inverosimile. È l'unico animale che recita il suo vero ruolo, non parla. I due si amano e si odiano, anche perché Oscar è entrato in concorrenza per conquistare le grazie della psicologa. [il chapstick è il lucidalabbra]





Compaiono anche Sheldon una tartaruga repubblicana con ambizioni imperialiste e una mucca pazza, con eccessi da film horror. Cho è bravo e diverte anche con i registri surreali.



Per il resto del cast degli umani, tutti ben forgiati come caratteri, vi rimandiamo alla dettagliata scheda della saldapress, scritta in occasione dell'uscita della raccolta successiva "L'estate dell'amore". L'ultima pubblicazione della Saldapress è del 2008, "Cuore di Ghiaccio".





I riferimenti cinefili si sprecano. Quello sotto è tra i più riconoscibili.


Un po' meno facile magari ricordare il rimando contenuto nelle battute di Dean (sotto): Jack Nicholson in "Qualcuno volò sul nido del cuculo". (Tant'è che nella prima traduzione su Linus si scelse di ignorarlo per non complicare, tagliando il nome "Rachel" dell'infermiera mentre "Tu e io e ce ne andremo in Canada" diventa "Capo? Capo?", ma, come abbiamo accennato, si tratta di stratificazioni, la striscia può funzionare senza. Il confronto è anche occasione per mostrare la differenza del lettering con la versione Saldapress. Come si noterà la striscia è stata anche ridisegnata nei movimenti ed espressioni di Frank).



Non mancano le citazioni e comparsate tratte dai molti fumetti classici amati dall'autore. Fearless Richard Stacey è la copia di un celebre personaggio di Al Capp, Detective Fearless ("senza paura") Fosdick, a sua volta solenne presa in giro dell'integerrimo e mascellone Dick Tracy. Chi è quella scimmia chiamata a disegnare? È l'alter ego di Cho che ama apparire nelle sue tavole sotto le forme di un occhialuto Monkey Boy, un macaco.



Cho è un talento bastardo. Potrebbe raffigurare di tutto con una intelligenza umoristica spettacolare. Abbiamo capito che sa disegnare belle donne e forse sta martellando anche troppo sul suo ideale femminino. Anche Fellini ne aveva uno, una vera ossessione come lui, ma con equilibrio non ne ha riempito troppo gli schermi. Negli ultimi anni Cho ha avuto una svolta producendo con successo e suo gran piacere album stile Marvel. Forse piaceranno ai cultori del genere ma questo piccolo Mozart del fumetto ha perso la poesia, l'umorismo e l'originalità di quel capolavoro che è stato Liberty Meadows ormai relegato in angoli del suo sito. Di quelle che possono sembrare cadute di stile se ne frega, rassegniamoci. Pare che anche Mozart fosse un discreto maiale e buontempone. Del resto è così, il talento piove spesso su teste matte e sregolate.


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