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Tinoshi di Giorgio Tino



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35MQ di Stefano Frassetto


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sabato, agosto 25, 2018

 

Singloids dei Persichetti Bros


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venerdì, agosto 24, 2018

 

Il nuovo Linus di Igort, un bambino complicato


L’abbiamo presa con calma e vi diciamo la nostra sul nuovo Linus ora che siamo arrivati al quarto numero. Del resto un’uscita non bastava per capire, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.



CAPITOLO PRIMO: LUOGHI COMUNI
Vediamo se ci riesce di uscire dai soliti cliché. Quello del linusiano che torna a casa, si toglie le Clarks, appende l’eskimo (no, l’eskimo ancora oggi  forse è troppo), pesca dallo scaffale uno Schulz d’annata e si butta sul divano mentre in un angolo del salotto sfrigola un vinile dei Led Zeppelin (Genesis, Simon & Garfunkel, Hendricks, fate voi). Quello di Igort che sul suo tatami di casa, con il kimono e i sandali zori (no, le infradito forse è troppo) sorseggia un sakè sfogliando un album di un mangaka maledetto, perduto e negletto (ah, triste ma bellissimo ,comunque).



CAPITOLO SECONDO: DELLA STRAGE E DEL REPULISTI
Il nuovo Linus prende una strambata notevole, il cambio di timone si sente tutto. Hai voglia a dire “Linus torna bambino”. Andate a spiegarlo alle altre centinaia di numeri del mensile ordinati sugli scaffali ai quali andrà a far compagnia. Non assomiglia a uno di loro, di nessuna epoca. Dalla grafica ai contenuti, persino lo spessore o la consistenza della carta, ma forse quest’ultima è suggestione. Davvero nulla o quasi.
Proviamo una  sfogliata veloce della prima uscita. Subito una nota positiva: tra le tante sparizioni svanisce anche molto cazzeggio, tanto cazzeggio che aveva afflitto le pagine della rivista, tra un fumetto e l’altro, nell’ultimo decennio. Articoli pseudo umoristici o di satira cialtrona che affogavano i pochi buoni testi di politica, cultura varia, sociologia,  tutta roba che in passato faceva il fiorellino sull’occhiello. Linus era un bel punto di osservazione della società contemporanea. Era. Rimane qualcosa, le rubriche di recensioni, musica, letteratura, tra cui una nuova, quella dedicata alle serie TV. Bella pensata, se la gente con quelle si rincoglionisce  almeno diamo qualche dritta. Scompaiono anche molti fumetti orribili, spesso disegnati con un piede, di incomprensibile ragione di esistenza, introdotti negli ultimi due anni. E fin qui ci sentiamo molto giacobini e finalmente abbiamo trovato il Robespierre.
Con l’acqua sporca finiscono però  gettate via alcune strisce molto amate dai lettori. Nel primo numero una strage. Perle ai Porci la striscia dei quotidiani yankee più divertente degli ultimi anni, la sempiterna Doonesbury, Wumo (l’erede di Gary Larson e della comicità a vignetta unica), Monty, Dilbert (queste ultime due in  effetti un po’ cadute in stanchezza negli ultimi anni). Perle ai Porci  ritorna con il secondo numero, Doonesbury pure ma nella terza uscita non c’è più. Sparisce ma poi torna a furor di popolo “I quaderni di Esther”, fumetto curioso arrivato negli ultimi anni e capace di conquistare a sorpresa l’affetto dei lettori. Scompaiono, e con rimpianti, anche Jousha Held e Andrea Bozzo, i migliori talenti indigeni portati dalla precedente direzione.
Per quel che si è capito dai primi quattro numeri, le serie di fumetti vanno e vengono. Non affezionatevi troppo, basta con questi sentimentalismi da vecchi lettori del novecento. Qui nessuno vi dirà che questa casa non è un albergo e se volete gnocchi sempre il giovedì andate dalla mamma.
Sui social se ne son dette subito di tutti i colori, ma si sa, quelli sono posti da guelfi e ghibellini, dove in tanti si sentono in dovere di tirar fuori il mal di pancia. Giudizi sommari, dove anche oggi  Gesù Cristo avrebbe problemi con Barabba.



CAPITOLO TERZO:  LINUS BAMBINO?
Torniamo allo slogan di lancio della nuova era: Linus torna bambino. Bene, prendiamo in mano un Linus davvero bambino, numero 12, marzo 1966, un anno dal primo vagito, e leggiamo il  menù. Fumetti:  Peanuts (con una retrospettiva anni ‘50), Krazy Kat,  Li’l Abner, B.C., Wizard of Id, Pogo, Ghirighiz dell’italiano Lunari e. a chiudere, Neutron, una storia lunga a puntate di un Crepax ancora acerbo. Più in aggiunta un paio di pagine per una striscia italiana sconosciuta e che tale resterà. Inframmezzati da un articolo del mitico Franco Cavallone, il Piero Angela del fumetto di allora, un altro articolo di Eco sulla scomparsa di Vittorini, un altro sulla figura storica di Nerbini. Rubrica fissa la Posta dei lettori: allora bisognava prendere carta e penna per farsi filare almeno due minuti, mica come ora che la spari subito su Facebook. Qualche altro fumettino sparso. Impressione generale: leggerezza, divertimento, intelligenza, il meglio dalle strisce contemporanee ed emergenti ma anche approfondimenti e tuffi nel passato.
Ritroviamo la stessa leggerezza, o chiamiamola infanzia, per stare allo slogan di lancio, nel Linus della nuova era? Sì e no. Prendiamo il primo articolo, un abbecedario, formula giornalistica ormai ritenuta abusata persino nei giornali femminili, compilato da Houellebecq, un intellettuale francese  che dalle sue parti  con le  provocazioni su Islam e femminismo fa girare le palle anche ai pali della luce. Una roba solipsistica con cazzeggio pesante sul tutto e sul nulla.




I FUMETTI
Andiamo ai fumetti. Due strisce, pietre miliari recuperate dal passato profondo, Schulz degli anni ‘50 e il primissimo Watterson. Nulla da dire su due mostri sacri di tale portata ma si possono con calma saltare e rivedere dopo, con nostalgia: sono pagine  già presenti negli scaffali di gran parte del popolo linusiano.  Volendo tirare un filo con la leggenda di Linus si poteva, ad esempio, far ritornare Bloom County di Berkeley Breathed, striscia intelligente, disegnata in modo magistrale,terribilmente scorretta, e capace di vincere un Pulitzer  alla fine degli  ‘80 ma soprattutto ancora viva e attiva oggi dopo varie traversie. Perché cito Bloom County? Perché è il perfetto esempio di striscia linusiana dell’epoca d’oro.
Sfogliando troviamo un altro tuffo nel passato, questo sorprendente. The Kin-der-Kids di Feininger. Sarebbe da applausi in piedi, quell’epoca di tavole di comics nei quotidiani USA è tanto splendida quanto sconosciuta da noi lettori italiani, ma c’è un serio problema di riproducibilità. Le pagine domenicali del Chicago Sunday Tribune, come degli altri quotidiani dell’epoca, erano tovaglie immense. Per riportarle sul piccolo Linus occorrerebbe  offrire come gadget una lente d’ingrandimento. L’effetto è quello di tentare di suonare la quinta di Beethoven nel Cavern Club dei Beatles. Ci sono forse altre pagine più riproducibili di quel primo novecento, il McCay di Dream of the rarebit fiend la prima che ci salta in testa, o molto Krazy Kat di Herriman, sul quale rispetto alle prime uscite del Linus anni ‘60 sono stati fatti grandi progressi filologici. Più o meno lo stesso problema si ripropone poi con Little Nemo, offerto con un’introduzione del defunto Del Buono. I balloon di McCay sono un po’ più leggibili ma vederlo miniaturizzato così è una pena.
Passiamo agli altri fumetti introdotti. Sui quali in realtà non vorremmo pronunciarci più di tanto perché il grande rischio è quello di cadere in una querelle capziosa e anche un po’ ideologica circa la superiorità di un genere su un altro. Il fumetto è tutt’altro che una realtà omogenea se guardiamo a gusti e interessi dei lettori, spesso divisi e separati in tribù che non comunicano tra loro. Fumetto è anche Diabolik, Topolino, Tex, Superman e Tiramolla. La serialità degli eroi di Bonelli o dei supereroi della Marvel e le graphic novel della Coconino. Pazienza e Altan. Makkox e Zerocalcare. E così via. Un fatto semplice è certo. Linus come rivista madre ha sempre ospitato comic strip partendo nel 1965 dai Peanuts. E da un personaggio di questi ha preso il nome. Quella era la sua identità editoriale. C’erano poi i supplementi, gli almanacchi e c’era AlterLinus, diventato poi AlterAlter. In questi ultimi trovarono spazio grandi firme del fumetto internazionale e storie più lunghe di avventura fuori dalla linea editoriale base della rivista madre. Su Alter arrivò l’attuale direttore con un inserto curato dal gruppo Valvoline, molto orientato alla sperimentazione e innovazione del linguaggio del fumetto. Il Linus attuale sotto molti versi ricorda il vecchio Alter.




DEL PERCHÉ  E DEL PERCOME I VECCHI LINUSIANI NON AMANO LA NUOVA DIREZIONE DI LINUS
Apriamo una parentesi. Quel che bisognerebbe ricordare, ancora una volta, è il rapporto particolare tra il lettore e le strisce. Un rapporto che spiega le proteste, spesso furibonde, degli antichi lettori di Linus. Le comic strip non hanno un inizio e non hanno una fine, se non forse con la morte dell’autore. Non c’è una trama, un qualcosa che segui, che cresce, che ha un climax. Forse l’analogia migliore è quella con le situation comedy della TV. Ti affacci, conosci, perché hai familiarizzato con il tempo, i personaggi (che non crescono o invecchiano, tranne il caso di Doonesbury), puoi perderne una o cento, le riprendi quando vuoi, negli anni o nei mesi. Non c’è mai il momento che poggi il libro e dici finito. Nello stesso tempo quando hai cominciato ad amarle sono dei microcosmi che creano un rapporto viscerale con il lettore. Meccanismo ben noto agli imprenditori della carta stampata USA dove il fumetto è nato in quella forma primordiale: la comic strip che riappariva ogni giorno, una al giorno, legava i lettori al quotidiano.  Servivano per venderne le copie, si svilupparono come piccola arte del fumetto di sintesi e intrattenimento. In Italia al loro arrivo furono strozzate nella culla dal Corriere dei Piccoli che le relegò in spazi infantili non senza averle prima ripulite dalla pericolosa contaminazione tra testo e disegno dei balloon. Le cose rimasero così per molto tempo finché, passato il dopoguerra, alcune belle teste pensanti come Vittorini (prima) e Eco (dopo) scoprirono lo spessore artistico, la poesia, il valore letterario di Schulz e non solo. Il dibattito sul primo Linus del 1965 condotto da Eco con Vittorini e Del Buono è la chiave per capire tutto. Non solo la restituzione di dignità al fumetto ma anche l’essenza di Linus. Con altra cadenza temporale, mischiandole in un periodico fatto anche di testi, il primo direttore Gandini  riportò le strisce in Italia, questa volta in modo filologicamente corretto.
Per alcuni dei fumetti proposti basterebbe riportare il parere garbato di Giuseppe Scapigliati, forse il più grande collezionista di tavole originali in Italia, un personaggio naif e spontaneo che ha amoreggiato tutta la vita con le strisce: <accento toscano perplesso> Gran bel disegno ma non li hapisco miha <fine accento toscano >.
E probabilmente anche quando li capisci quel che conta dev’essere altro, il come si racconta. Come ad esempio, il bellissimo disegno onirico della novella di Reviati nel numero di luglio. Ma quel topos letterario dell’amor perduto e impossibile, ragazzi, l’abbiamo visto in tutte le salse e forme.




LUCI E OMBRE
Insomma, come si dice, luci e ombre. Il numero di agosto sembra finanziato da un ente nipponico per la difesa della cultura fumettistica con il contributo del consolato giapponese (33 pagine dalla 19 alla 51 hanno a che vedere e fare con il Sol Levante, dopodiché se ti chiama un amico per del sushi la prendi male). Ma anche luci, tante. È un piacere grandissimo aver rivisto Spiegelman, il lustro dato a Pazienza nel numero di giugno, la rivisitazione di Barnaby (oddio, poteva essere l’occasione per qualche parola su Vittorini, il primo a portare la striscia di Crockett Johnson nel dopoguerra).  Ancora: le aperture ad autrici italiane come Carratello e Deco (ignorata sin a ieri nonostante l’incredibile  talento linusiano per le comic strip).


SIAMO TUTTI ALLENATORI DELLA NAZIONALE (E DIRETTORI DI LINUS)
Si può mettere su un Linus più linusiano e che davvero diverta ed emozioni quel pubblico di lettori? C’è tanto da cui si può pescare:la carta stampata che ospitava strisce e vignette è in crisi ma non certo  la scena creativa. Basti pensare che ancora viene ignorata la striscia più bella di questi ultimi dieci anni, l’argentina Macanudo di Liniers. Ma dalle parti di Buenos Aires  c’è poi tantissimo altro da scoprire, Tute e Maitena ad esempio. Se proprio si deve ricicciare Schulz, anziché quelle tavole dei ’50 molto viste sì può sorprendere di più con quello ancora più antico, quello dei Li’l Folks, i Peanuts prima che i syndicate decidessero di chiamarli così. O ancora: Pogo, tra le strisce più amate nell’epoca d’oro di Linus.
Dal web spuntano tavole naif come Incidental Comix di Grant Sniders o The Norm di  Michael Jantze. In Italia? Dal passato si potrebbe tirare un ponte sull’epopea Comix: Cavezzali, Ciantini, Totaro e tanti altri. Tra le generazioni successive disegnano tavole, strisce e vignette deliziose con dialoghi esilaranti Tartarotti, Frassetto, Lele Corvi, Makkox, Olivieri, Dario Campagna, Mario Natangelo .
Tutta roba molto linusiana. Ce ne sarebbe anche altra ma  questi sono discorsi da bar del fumetto in fondo.
Comunque Linus continueremo ad andare a prenderlo in edicola. Magari si salta qualche pagina ma è un po’ una  fede e un po’ siamo curiosi del viaggio che la nuova direzione proporrà.

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martedì, agosto 21, 2018

 

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Inkspinster arriva su Linus (un omaggio di Giuseppe Scapigliati)



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