mercoledì, febbraio 18, 2009
Bonny-Ed di Emanuele Di Dio
Emanuele Di Dio - "ED!" la firma sulle strisce - è uno che si sbatte. Molto, dappertutto, con una tenacia ammirevole. Sempre in tour per fiere, manifestazioni, ritrovi vari del fumetto nella penisola. Arriva e si propone. Un sito-blog, ma non basta. Poi scrive mail, si segnala. Disegna e si autoproduce. Dopo un esordio con Lillliput, è stato uno dei primi titoli di questa piccola casa editrice on demand (vale a dire stampava le copie su richiesta del lettore), è passato alla gestione in proprio della tipografia, pubblicando due raccolte ben curate, davvero ineccepibili dal punto vista grafico. Lo immaginiamo nella sua stanzetta, circondato da teschi, scheletri e ossari vari, ripetersi "voglio diventare un autore di fumetti, voglio, fortissimamente voglio".
Ci è capitato tra le mani, in una fumetteria di Milano (il che farà molto piacere un autore che si distribuisce da solo), il secondo volume di Bonny-ED, "Anderground - tre metri sotto terra". Anderground scritto con la A rovesciata, in tutti i credits del libro troverete questa eterna voglia goliardica di fare un po' gli alternativi. Conoscevamo già ED, ma questa volta ci siamo detti: portiamolo a casa e mettiamo su il disco davvero, proviamo a farlo girare tutto con attenzione.
Verrebbe voglia di coccolarlo un po', un autore implume (anche se ormai sbattendosi qui e la il tempo è passato e si avvicina ai trenta) con questa voglia. Solo che non si sa mai come maneggiare questi anatroccoli cocciuti che vogliono diventare cigni. Le prime tavole erano davvero acerbe. Molto immature. E a parlarne si rischiava la stroncatura tra un incoraggiamento e una pacca sulle spalle.
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Apriamo una parentesi sulla dura vita di chi per passione fa il talent scout e azzarda qualche recensione. Proponendosi a destra e sinistra in occasione della riedizione autarchica delle prime tavole, Di Dio raccatta un po' di minischede, recensioni è una parola grossa. Le trovate sul suo blog, un tenace come lui si motiva anche ritagliandole e appendendole su una parete web. Molti giri di parole per descrivere un fumetto che si vuole soprattutto incoraggiare cercando il più possibile spunti positivi. Il massimo della critica (vera) è che qualche volta le battute sono un po' telefonate. Incappa però anche in una recensione dura, di quei tackle che andrebbero picchiati solo ad autori maturi. Non ci va qui di riportarla, andatevela a leggere nel caso. La tira Marco Arnaudo, testa d'uovo di intellettuale emigrato negli USA che non disdegna i fumetti (è coautore con Dito' dello Struzzo metafisico). Grazie all'interattività di Internet, inutile in questi casi, ne nasce una polemica rovente, trascinata e poi tagliata. Nel merito le osservazioni del critico erano condivisibili. I peccati di gioventù della striscia tanti. Il punto che ci interessa qua è un altro. Non si replica mai ad una recensione cattiva. Mai. L'abbiamo detto? Meglio ripetere: si incassa e basta, si guarda il ventesimo del bicchiere pieno, qualcuno si è dato pena di scrivere sul mio lavoro. Si va a schiumare la rabbia nel terrazzino, in giardino, in bagno o nel pianerottolo e poi si prova a estrarne il messaggio. Diversamente continua questo mondo di "siamo tutti bravi e incompresi". Ma nella diatriba Di Dio tira fuori un'altra prospettiva che abbiamo sempre condiviso. Con un autore che inizia è inutile pestare, meglio ignorare. Ed è per questa ragione che qui fingiamo di non vedere tanti brutti anatroccoli, specie se continuano a rimanere tali.
La buona novella, o meglio, opinione è un'altra: Di Dio comincia a svolazzare meglio. Comincia. Ed è tempo di segnalarlo.
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Due amici, senza un nome, uno con la testa di zucca, l'altro un teschio di pezza. Chiacchierano, si prendono in giro, vagano in un indefinito universo adolescenziale. Di Dio usa ingredienti molto facili da trovare nei supermercati del fumetto, vecchi come le nostre bisnonne. Una predilezione per il macabro, mai vista una generazione che non ne vada pazza. L'autocommiserazione dell'essere sfigati, la ragazzina irraggiungibile. Verrebbe da dire: guarda che Schulz ci ha già tirato fuori tutto con Charlie Brown e con un talento irraggiungibile. Ma va bene così. Di suo Di Dio ci mette un disegno che migliora continuamente, un po' ondivago come influenze tra il Disney italiano e i manga, scelte di inquadrature articolate già da mestierante. Buon tratto, sicuro, buona colorazione. Come nella tavola sotto. Salvo poi cadere in alcuni stereotipi, anziché divertirsi a sbeffeggiarli, come ci aspetteremo da un autore di comic strip. La ragazzina è perfetta, un po' troppo, niente di surreale, come quelle dei sogni degli adolescenti, come quelle che non trovi mai in giro, come una Winx (d'accordo anche Frank Cho le fa così belle, ovviamente diverse secondo i suoi sogni notturni, ma lì il gioco sta nel contrasto con i personaggi da cartoon). Ha i capelli blu anziché rossi, è stranamente abbronzata (tutte le bellone di Ed hanno passato ore di lampade, chissà perché), ma la tematica è quella, uguale da quando iniziò l'epoca del romanticismo.
Ci chiediamo poi se fuori dalla TV e dal modello dei serial USA davvero in Italia qualcuno si rivolgerebbe mai ad una ragazza chiamandola bambola.
Altre strisce sono ben costruite. Come questa sulle guerre di religione, l'idea è ottima anche se si sviluppa un po' macchinosa nel testo.
Altre sono ben congegnate anche se le battute giravano e girano ancora. In una scena dell'attuale campione ai botteghini, il film "Ex", la battuta finale è la variante "guarda che ha sbagliato numero". Nessuno denuncerà per plagio, ne siamo sicuri.
Ci sono poi tavole dove l'autore ci azzecca proprio. Eppure bastava poco, osservare la realtà e rigirare la frittata bene, come in questa sugli strani film che si finisce per scaricare da internet.
Di Dio dovrebbe fare il contrario di Leopardi, slegarsi dalla sedia e girare, magari smettere di portare la gobba per saloni e rassegne del fumetto e riflettere su quello che succede intorno. La tecnica per tirare fuori le tavole c'è, si tratta di sorprendere il lettore.
Di Dio ha scelto per tutor il folle Makkox chiamandolo all'introduzione del suo libro. È uno spasso leggere come uno come lui, il Marco Dambrosio alias Makkox, che della filosofia pane al pane, vino al vino, ne ha fatto un eccesso di vita, si aggrappi ai vetri nella prefazione, nonostante la richiesta di non scriverla come una marchetta. Eppure anche dal vate prescelto ci sarebbe da imparare, osservandolo bene quando tratteggia strip. Il Makkox ha passato anni di bacchettate e botte da una zia arpia per imparare la tecnica di disegno. Ma sarebbe diventato solo un figurinista se poi non ci avesse sguinzagliato sopra una malsana e sghemba visione del mondo.
Etichette: articoli, novità editoriali, segnalazioni, strisce e autori, Strisce Italiane
E' Makkox il disegnatore idraulico la cui zia scrive sul blog!!!
Ed io che pensavo fosse la zia del Ciantini...
Non mi sembrava tanto arpia e comunque cucina bene.
Questo Makkoox poi è bravo, uan bella amno, ma ci gode troppo con tutti quei freghi e si dimentica di noi lettori.
E' come scopare bene ma mentre si guarda la tv.
:-)
Non ci fate una figura esattamente professionale.
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