lunedì, gennaio 31, 2011
La prospettiva onirica di McCay, seconda parte (estratto dalla tesi di Steve Frassetto 3)
Seconda parte dedicata alla prospettiva in McCay, estratta dalla tesi di Steve Frassetto. Qui entra in gioco soprattutto la distorsione onirica.Valgono le avvertenze segnalate nell'introduzione alla prima parte alla quale rinviamo. Seguirà poi, con un bel salto di tempo, una terza parte dedicata alla prospettiva minimale nel mondo dei Peanuts di Schulz e poi ancora in quello fantasioso di Calvin & Hobbes.
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Nel mondo immaginario di McCay l'elemento onirico è la giustificazione allo stravolgimento di tutte le regole e le convenzioni del disegno. Egli "organizza tutto il suo discorso nell'illimitata gamma che passa tra il senso della percezione in sé e la precisione nettissima di una visione come se fosse reale. Come terminali entro cui articolare questa gamma, egli ritrova nel sogno e nella sua dialettica col risveglio le varianti più ricche di "significato" e più collegate ai processi autentici della conoscenza "visiva", intesa soprattutto come collezioni di visioni (…) " (Gino Frezza, L'immagine innocente. Cinema e fumetto americani delle origini).

Questo giocare sulla percezione visiva è alla base di numerose tavole di Little Nemo e permette all'artista di distorcere la realtà circostante in maniera sorprendente, manipolando forme che per definizione dovrebbero essere solide e immutabili. Nella tavola sopra, Nemo e i suoi amici si apprestano a compiere un'azione abbastanza comune tra i ragazzini; ovvero scendere a cavalcioni lungo il corrimano. Lungo il percorso però la scala (che ad occhio appare costruita di solido marmo) inizia a cambiare forma. Le curve si moltiplicano e divengono assurdi angoli retti; gli scalini formano dei saliscendi simili alle montagne russe; l'andamento diventa quello di un'interminabile spirale. Alla fine di questo percorso allucinante appare quasi naturale che la discesa del protagonista termini nel vuoto dello spazio tra stelle e luna. La scala dunque, elemento solido e rigido per eccellenza viene distorta poiché evidentemente nella percezione di McCay è cambiata la sua consistenza materiale (più gomma che marmo).
La tavola seguente si può considerare una variazione sul medesimo tema della scala. In questo caso anziché una distorsione, ci si trova dinnanzi un progressivo ingrandimento. La fuga dei tre personaggi si ferma quando ogni singolo gradino inizia a crescere a dismisura sino a divenire impraticabile. Anche in questo caso, più che ad un massiccio scalone di palazzo pare di trovarsi al cospetto di una scala mobile. Alla fine le sue dimensioni diventano reali per il gigante sullo sfondo e macroscopiche per gli altri personaggi.

McCay si diverte spesso a stupire il lettore con questi stranianti giochi di ridimensionamento degli oggetti: Nemo si trasforma così in un (relativamente) moderno Gulliver; ma non è sempre così chiaro se sia lui o la realtà circostante a crescere o rimpicciolire a dismisura. In questa tavola ad esempio, pur in un clima come sempre surreale, ogni cosa mantiene le sue proporzioni. I giganti compongono e dopo scompongono un'intera città davanti ai suoi occhi: i palazzi, sfarzosi e imponenti per Nemo, divengono veri e propri giocattoli nelle loro mani.

Allo stesso modo nell'esempio seguente gli oggetti, in questo caso la città, mantengono le loro dimensioni: sono i personaggi a diventare "giganti", come si può facilmente dedurre dal rapporto con le altre figure umane presenti. Questa trasformazione mette sotto una luce del tutto particolare il paesaggio urbano circostante. Gli alti palazzi di New York diventano gradini da scalare, acquisendo così un'inattesa funzionalità alla quale l'occhio umano non è ovviamente abituato.

Oltre al ridimensionamento delle forme, McCay si cimenta spesso con il loro ribaltamento, quasi a non voler lasciare inesplorato alcun aspetto della geometria descrittiva. Nel caso tavola sotto ci si ritrova al cospetto di uno scenario piuttosto curioso. Nelle prime vignette infatti Nemo viene condotto in un salone in cui c'è un caminetto. Nella quarta vignetta il caminetto si ribalta con una rotazione di 45 gradi e scopre così dietro di sé una scala nascosta (si possono anche notare i due alari che si inclinano a loro volta, quasi per contrapposizione meccanica, come in un perfetto ingranaggio): è il punto d'accesso ad un enorme salone i cui percorsi sono dei veri e propri labirinti. In questo piano vi sono balaustre e colonne che apparentemente non sorreggono nulla (è una deduzione basata sulla passione di McCay per queste visioni quasi surreali, poiché l'inquadratura non si spinge così in alto).

L'utilizzo funzionale della prospettiva in Little Nemo passa dunque attraverso la sua manipolazione. "Le somiglianze e le dissomiglianze (…) le gioie e le felicità che appaiono e scompaiono durante il viaggio tra sogno e realtà, sono tutti organizzati su un'infinità di scontri di grandezze spaziali variabili che mettono a dura legge la percezione di uno spazio sempre costante e dalle caratteristiche permanenti. McCay difatti sostiene ineccepibilmente la stessa narrazione delle avventure di Nemo riempiendola di occasioni e incontri che spesso nient'altro sono se non i risultati della stupefatta e a volte inerte curiosità di fronte alle modificazioni dell'universo in cui egli si trova immesso, modificazioni che altro non sono che l'illimitata possibilità di manifestare degli schemi prospettici come rappresentazione di un universo che in essi trova (o non trova) le condizioni per il suo riconoscimento (o per il suo stravolgimento). Il discorso di McCay è chiaro: si tratta di un'interminabile sperimentazione su come certe apparenze si organizzano per comunicare dei valori socialmente determinati e su come possono diventare simbolo di un certo modo di conoscere e di operare. Essa è infine una prova che gioca non solo con i limiti astratti che fanno permanere la percezione di uno spazio (attuale e virtuale) ma anche con se stessa, come operazione che riflette sulla permanenza di cui sopra o sulla caduta vertiginosa di quei limiti astratti " (Gino Frezza, L'immagine innocente ecc..)
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giovedì, gennaio 27, 2011
La prospettiva in Winsor McCay, prima parte (estratto dalla tesi di Steve Frassetto 2)
Prosegue la serie di estratti dalle tesi di laurea sul fumetto di Frassetto e Grillo. In questo post pubblichiamo la prima parte di un capitolo dedicato alla prospettiva tratto da "Forma e segno, il disegno dell'architettura nel fumetto" del primo autore. Lo dividiamo in più parti dato che è piuttosto lungo.
Nei primi due estratti il riferimento è soprattutto al genio prospettico di Winsor McCay. Avvertenza ai naviganti: le tavole di Little Nemo o di Dream of the rarebit fiend avrebbero bisogno di ben altri spazi e nitidezza. Nascono in origine su fogli di quotidiani da mezzo metro quadro e per essere apprezzate davvero si dovrebbero ammirare solo su raccolte magnifiche come quelle curate da Ulrich Merkl e da Peter Maresca. Qui riportiamo tali e quali le scansioni immesse nella tesi, dimensionate per andare su fogli A4, spesso impoverite sino a diventare illeggibili e in qualche caso un po' sporche. Sono solo esempi funzionali al discorso della tesi, niente di più e non servono per gustare le tavole.
La parola torna al dottor Frassetto.
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Utilizzo funzionale della prospettiva: Winsor McCay
"Il fumetto è stato prospettico sin dall'inizio " (Daniele Barbieri). Ma, si potrebbe aggiungere, nel corso della sua storia (come per l'illustrazione editoriale ed i cartoni animati) ne ha stravolto le regole iniziali per adattarle alle proprie esigenze espressive. In principio, comunque, il riferimento è la prospettiva rinascimentale, ovvero il sistema che "permetteva di rappresentare nel piano la profondità spaziale con precisi rapporti tra le varie parti " (T.E. Bertoldo, Tecnica grafica). Questo perché agli albori del fumetto è ancora presente una forte influenza della pittura e dell'arte incisoria ottocentesca. Il carattere di questa nuova forma espressiva non si è ancora formato in maniera del tutto autonoma e bisogna attendere una decina d'anni. Ovvero quando irrompe sulla scena il genio innovativo di Winsor McCay.
Winsor McCay crea il suo personaggio più famoso nel 1905. Si chiama Little Nemo "un bambino (che) non vive nelle sue storie la vita di tutti i giorni: ogni notte viene trasportato in sogno negli immaginari mondi della fantasia dove vive avventure fantastiche e meravigliose sullo sfondo di preziose e accuratissime scenografie in ricercato stile liberty. Ogni suo sogno-avventura si svolge in una singola tavola, sempre diversa e nuova nella costruzione e nella distribuzione delle vignette, e si conclude con un brusco risveglio che spesso lo salva dalle situazioni difficili o pericolose in cui la sua fertilissima fantasia l'ha di volta in volta cacciato " (Franco Fossati, I fumetti in cento personaggi).

Nel disegno di McCay la realtà non è mai come appare nella sua rappresentazione. Egli sfrutta appieno tutti gli artifici che la prospettiva, l'inquadratura e il segno stesso gli forniscono per condurre il lettore in un'altra dimensione, sino alla tipica ultima vignetta che ha il compito infine di riportarlo alla realtà (la sua lezione sarà ripresa ottant'anni dopo da Bill Watterson, ne parleremo in seguito).
In una tavola del 1907 (figura sopra) Nemo e il suo amico Flip pattinano sul ghiaccio. Nella settima vignetta quest'ultimo casca in un cespuglio. Spostandosi poi dall'altra parte della superficie incontrano una pendenza e iniziano a scendere. Si scopre così che la superficie su cui si muovono, altro non è che la testa del nonno di Nemo. Che il sole all'orizzonte è in realtà un cerchio non meglio specificato posto sulla parete che fa da sfondo (tant'è che questi seguiva il movimento dei due personaggi: centrale nelle prime vignette, a destra nell'ottava, a sinistra nella nona: un tracciato che il sole non potrebbe mai seguire).
In tutti i suoi lavori McCay "piega" le regole della rappresentazione ai suoi bisogni e ne fa uno strumento per narrare.
"Uno straordinario delirio prospettico fa sì che noi ci domandiamo in continuazione se gli eroi viaggiano dove si invecchia, ci si ingrandisce o rimpicciolisce mentre le grotte e le montagne, le foreste e i palazzi sbocciano, si inclinano e scompaiono nello spazio di qualche disegno. Le composizioni simmetriche a cavallo di due vignette, i giochi di specchi orizzontali e verticali, i colori degni delle migliori composizioni, il capovolgimento dei punti di vista nelle linee di fuga dovute al fatto che Nemo, in assenza di gravità, passeggia sul soffitto (il mondo appare capovolto quando Nemo ha la testa in basso) etc. Tutto ciò smonta a dovere le leggi del cubo scenografico che, a forza di modifiche, ritrova la piattezza del supporto: la carta" (Pierre Fresnault Deruelle, Little Nemo in Slumberland).

L'artificio del passaggio dalla tridimensionalità alla bidimensionalità attraverso il gioco delle regole prospettiche è talmente presente nell'opera di McCay, da diventare in qualche caso il fulcro umoristico della tavola stessa. Nella tavola sopra Nemo invita a ballare una delle tante bambine che attendono in fila (fanno da tappezzeria, come si dice in gergo). Ma dopo un po' si accorge che in realtà le bimbe sono sagome disegnate sul cartone. È evidente il doppio senso giocato appunto sul "fare da tappezzeria", ma ancora più chiara appare l'illusione che attraverso il tromp l'oeil l'autore regala non solo al lettore, ma anche al suo personaggio. Viene ribadito così un concetto caro all'artista newyorkese: ""È la conquista della superficie a partire dalla rappresentazione dei volumi". McCay percorre nuove strade sino ad allora sconosciute nel relativamente giovane mondo del fumetto.
E lo fa dimostrando che l'uso dei mezzi tradizionali della rappresentazione (la prospettiva appunto) vi si possono adattare e migliorarlo. Nel disegno non vi è alcunché di rivoluzionario, anzi, i riferimenti sono classici. L'ornamento che fa da sfondo a tutte le sue vignette ad esempio è di chiara ispirazione art nouveau. In altre tavole le citazioni della pittura del passato sono ancora più esplicite.
La tavola seguente appartiene ad una serie di poco antecedente a Little Nemo intitolata Dream of the rarebit fiend (in italiano come "Sogni di un divoratore di crostini"). Iniziato nel 1903 sottoforma di striscia per il New York Telegram e firmato con lo pseudonimo di Silas, permette a McCay di sviluppare alcuni temi (il sogno-incubo, il viaggio onirico, il risveglio che riporta alla realtà) che riprenderà in seguito per il suo personaggio più famoso. Ma soprattutto gli dà la possibilità di sperimentare tecnicamente alcuni aspetti.
"In senso strutturale, McCay confermò interessi e convenzioni plastiche. I lettori non sapevano se l'inizio delle vignette rappresentasse la "realtà" o il sogno, non vi erano simboli precisi; l'ambiguità era in tutti e due decisa e nell'ultima vignetta la realtà interna della striscia si sarebbe rivelata, e il lettore avrebbe visto il sognatore da una distanza media. Senza alcun cambiamento nello stile del disegno, nella scrittura, o nei bordi delle vignette e senza ulteriori spiegazioni, il punto di vista sarebbe scivolato dai dentro i pensieri del sognatore a fuori del suo corpo. In questi tempi di espressione libera dalla tradizione delle strisce , McCay formulò delle ipotesi circa le percezioni del lettore, e i lettori, evidentemente, fecero ancor più semplicemente delle ipotesi sull'inerente padronanza del tempo, dello spazio, e dei fattori di continuità delle strisce a fumetti". (Richard Marschall, America's great comic-strip artists).

Nella tavola sopra il riferimento ad Andrea Mantegna e all'oculo nel soffitto della Camera degli sposi appare chiaro (figura successiva). Il protagonista sta per essere sepolto (ma questo lo si scoprirà solo nell'ultima vignetta) e dunque la sua visuale è quella di chi disteso volge il suo sguardo verso l'alto. Ovvero ciò che capita a chiunque si ponga (si spera in posizione eretta) sotto il centro di una volta per osservarne gli affreschi. L'aspetto innovativo è tutto nella scelta di una visione soggettiva (cinematograficamente definita "camera soggettiva") che fa coincidere alla perfezione il punto di vista del protagonista con quello del lettore.

La prospettiva è dunque molto particolare poiché le figure presenti alla scena appaiono in uno scorcio realmente inedito per le tecnica fumettistica del tempo e tendono a divenire sempre più imponenti man mano che la bara viene calata verso il basso creando una sensazione di allontanamento assai realistica.
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La paura di essere seppelliti vivi, descritta dalla tavola forse più celebre di Rarebit, è un tema classico della letteratura sin dal 18esimo e 19esimo secolo, dentro anche "The fall of the house of the Usher" di Poe. E poi ancora nella cinematografia. Ulrich Merkl in particolare cita Vampyr del 1932, diretto da Carl Theodor Dreyer: in una sequenza horror un uomo ossessionato dai vampiri sogna la propria sepoltura. Ma quella prospettiva ottica, un bird's eye inimmaginabile all'epoca, un grandangolo esasperato, anticipava di decenni tecniche di inquadratura che il grande schermo avrebbe sperimentato. Il cinema impiegherà decenni per arrivare a freddi effetti speciali nemmeno paragonabili alla potenza del disegno di McCay.
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lunedì, gennaio 17, 2011
La villetta delle strip (estratto dalla tesi di Steve Frassetto 1)
Iniziamo con questo post a pubblicare alcuni estratti dalle tesi di laurea sui fumetti di Andrea Grillenzoni (Grillo) e Stefano Frassetto. Partendo da quest'ultimo, con una delle parti più divertenti, dedicata all'architettura visibile nelle comic strip. Non seguiremo l'ordine del lavoro originale, quindi è necessaria una piccola premessa per inquadrare l'argomento. Uno dei capitoli è dedicato agli ambienti e luoghi rappresentati in forma iconica nelle strisce, con un'introduzione al concetto di icona nel mondo del fumetto così come delineato soprattutto dal celebre studioso Scott McLoud. Salteremo per ora questa premessa generale contenuta nel lavoro originale e passiamo direttamente a vedere come appare la tipica villetta delle strip.
A proposito di icone. Ci riserviamo qui e là di aggiungere qualche osservazione, aggiunta o annotazione agli estratti dalle tesi. Saranno riconoscibili per la presenza della piccola icona di Balloons qui a sinistra.
Ma ora la parola al dottor Frassetto.
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Scott McLoud definisce l'icona come rappresentazione di persona, ma anche di luogo. Ed i luoghi possono essere rappresentati in maniera più o meno realistica a seconda del tipo di narrazione. In entrambi i casi devono però svolgere un ruolo preciso e cioè definire in maniera inequivocabile l'ambiente in cui si muovono i personaggi. Soprattutto nelle strisce umoristiche, la cui quotidianità deve tradursi in familiarità per il lettore.
Vediamo ora come alcuni di questi ambienti svolgono la loro funzione di icona, caricandosi di significati che vanno ben oltre la loro semplice rappresentazione.
La villetta unifamiliare, assai diffusa nelle strip americane dagli anni '50 agli anni '80, delinea un microcosmo tipico della periferia statunitense: famiglia piccolo borghese composta da padre impiegato nel terziario, madre casalinga, due o più figli, cane e automobile. La vita sociale si regge soprattutto sui rapporti di vicinato e su piccoli svaghi come il cinema o il bowling. Tutte le strisce umoristiche che hanno al centro la famiglia americana sono dunque ambientate in questo luogo tipico, a tal punto da essere sovente disegnato nello stesso modo, come si può notare nei numerosi esempi che seguono: Hi & Lois di Mort Walker e Dik Browne, Miss Peach di Mel Lazarus, Peanuts di Charles Schulz, Blondie di Chic Young, Pearls Before swine di Stephan Pastis, Doonesbury di Gary Trudeau, Zits di Jim Borgman , Winthrop di Dick Cavalli.
Nonostante esse si svolgano in tempi e modalità differenti (Blondie è degli anni '30 mentre la striscia di Pastis è dei giorni nostri, scegliendo per esempio la più vecchia e la più recente) mantengono questa caratterizzazione comune, che nell'immaginario collettivo americano definisce il senso di casa e di famiglia valido in ogni epoca.
Le variazioni sono minime: dal cespuglio al gradino, passando per il lampione all'ingresso. Il vero elemento dominante rimane la parete esterna della casa, vista come in un prospetto laterale.

Hi & Lois di Mort Walker

Miss Peach di Mel Lazarus

Peanuts di Charles Schulz

Blondie di Chic Young

Pearls Before Swine di Stephan Pastis

Doonesbury di Gary Trudeau

Zits di Jim Borgman

Winthrop di Dick Cavalli
È semplicemente la rappresentazione della porzione di una casa tipica dei quartieri residenziali che spesso nelle facciate si rifanno all'ottocentesco Stick Style: "Nelle case costruite in questo stile (…) i muri esterni sono rivestiti da una sorta di imitazione dell'antico sistema costruttivo a travi in vista e riquadri in muratura (…) come del resto avviene anche col rivestimento di tavole in legno sovrapposte (Henry-Russell Hitchcock, L'architettura dell'Ottocento e del Novecento) ".
Le assi che vediamo appaiono chiaramente sovrapposte : "Il sistema a tavole sovrapposte offriva una maggior animazione di luce e d'ombra (…) permetteva anche di rendere sensibile all'esterno il nuovo sistema costruttivo (…). Con i loro muri a tavole sovrapposte, le ampie verande e le finestre a balcone, quelle che tuttora sono chiamate comunemente le case Downing sono sostanzialmente una creazione originale dell'America (…) ".

Stephen Colton's house
La Stephen Colton's house a Longmeadow Green (MA) (immagine sopra) progettata appunto da Andrew Jackson Downing può essere considerata un valido modello di riferimento. Ovviamente le villette suburbane del ventesimo secolo ne sono un'evoluzione, dunque sono meno ornate, hanno un garage in cui parcheggiare l'automobile e spesso non hanno una veranda coperta d'ingresso. Ma un rapido confronto con la prima vignetta di una tavola domenicale (vedi sotto) di Calvin & Hobbes, mostra quanto questo riferimento sia comunque sempre presente nell'opera dei cartoonist americani.

Al porticato non rinuncia invece Richard Thompson, uno degli autori più apprezzati dell'ultima generazione. Nella sua striscia Cul de Sac disegna la casa mantenendo questo elemento classico (vedi sotto), sebbene curiosamente la sua disposizione (come si evince dalla seconda vignetta) a stretto contatto con edifici identici, richiami più un certo tipo di edilizia inglese dei quartieri operai, se non nel movimento quasi circolare addirittura alcune incisioni del "Viaggio a Londra" di Gustave Doré (figura successiva), che l'agiata suburbia statunitense.


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E gli italiani? Come è "iconizzata" la casa nelle strisce italiane? In teoria anche i nostri autori, che in genere si sono imbevuti parecchio nelle strip USA, potrebbero sfruttare il classico innesco umoristico del visitatore all'uscio di casa (del genere "che cacchio vuoi, ti tratto malissimo"). In pratica vi fanno ricorso raramente. E la casa spesso è un appartamento in un palazzo, come nell'esempio sotto tratto da 35MQ dello stesso Frassetto.

Il tratto grafico "iconizzato" comune sembra la serratura dell'uscio (in Italia le case si chiudono a chiave a differenza degli USA a giudicare da quel che si vede nei film), vedi anche l'esempio di Kika di Cavezzali e Camerini. Questa coppia di autori ricorre spesso all'ambientazione nell'ingresso dell'abitazione. Alla porta della casa di Kika bussano sempre personaggi bizzarri con argomentazioni folli.


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lunedì, gennaio 10, 2011
Due tesi di laurea
"Birds of a feather flock together"
È un espressione idiomatica inglese, un vecchio adagio. Letteralmente: gli uccelli con lo stesso piumaggio si riuniscono insieme. Le passioni comuni mettono assieme gli individui.
Nel giro di qualche settimana verso la fine del 2010 scopro che due balloniani si sono laureati con una tesi sulle amate comic strip. Non è un caso che siano arrivati qua, per stare con gente simile nelle piume, nel blog specializzato nel genere in Italia.
Una passione piena, tale da orientare la tesi, culmine degli studi universitari, sull'argomento comic strip. E, aggiungiamolo, da sfidare - immaginiamo - non pochi preconcetti non solo nel mondo accademico.
Andrea Grillenzoni, meglio noto come Grillo, si è laureato nel 2006 all'Università di Roma - La Sapienza in scienze della comunicazione con una tesi di laurea in semiotica dal titolo "Semiosi a strisce: analisi delle comic strips" (di passaggio dopo il bacio accademico, osservata e apprezzata la titolazione magniloquente, diamo anche una veloce bacchettata accademica: per buona regola le parole straniere immesse in un testo italiano non si declinano, non hanno plurale, correggeremo quel strips ogni volta che ci viene a tiro). Di cosa parla questo studio? Definire ora la semiotica sarebbe troppo astratto (in Italia uno dei cultori più appassionati e appassionanti è Umberto Eco), vedremo in concreto come si estraggono segni e significati da testi e disegni del fumetto. Altra parentesi. Per chi conosce Grillo e la sua scrittura sarà una sorpresa leggerlo dissertare con toni dotti e serissimi sul mondo delle strisce.
Stefano Frassetto, autore di Ippo.it e di 35MQ, si è laureato in architettura nel settembre 2010 al Politecnico di Torino con una tesi in dal titolo "Forma e segno, il disegno dell'architettura nel fumetto". In realtà questo lavoro è meno specifico sulle comic strip rispetto a quello di Grillo ma l'amore dell'autore per il genere strisce ha una prevalenza notevole nelle pagine.

Lette tutte, dalla prima riga delle introduzioni all'ultima nota bibliografica, hanno rivelato spunti e una quantità di materiale, riflessioni, studi su questo genere di fumetto. Depurate delle parti più accademiche potrebbero essere mandate in onda sul web, sarebbe un peccato saperle ammuffire come tante altre tesi. Di queste abbiamo un'immagine da finale dei Predatori dell'Arca Perduta. Lotta, avventura, ricerca, grande concentrazione, tensione, pathos e poi via, dentro una cassa in un magazzino stipato con altre centomila casse anonime. I due poi scrivono benino, forse facilitati dalla passione per l'argomento, abbastanza lontani dai toni e stili pseudo accademici ricalcati sulla manualistica universitaria.
Si è pensato così di proporvi diversi estratti, elaborati con editing adatto al web. Aggiungendo qua e là osservazioni e altre immagini (entrambe le tesi contengono una selezione ricchissima). Potranno magari essere utili a ricercatori, studiosi e laureandi sul tema fumetti ma siamo certi appassioneranno i lettori più attenti. Eventualmente decideremo con gli autori se rendere integralmente scaricabili i due lavori. Prossimamente su questi schermi.
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