giovedì, gennaio 27, 2011
La prospettiva in Winsor McCay, prima parte (estratto dalla tesi di Steve Frassetto 2)
Prosegue la serie di estratti dalle tesi di laurea sul fumetto di Frassetto e Grillo. In questo post pubblichiamo la prima parte di un capitolo dedicato alla prospettiva tratto da "Forma e segno, il disegno dell'architettura nel fumetto" del primo autore. Lo dividiamo in più parti dato che è piuttosto lungo.
Nei primi due estratti il riferimento è soprattutto al genio prospettico di Winsor McCay. Avvertenza ai naviganti: le tavole di Little Nemo o di Dream of the rarebit fiend avrebbero bisogno di ben altri spazi e nitidezza. Nascono in origine su fogli di quotidiani da mezzo metro quadro e per essere apprezzate davvero si dovrebbero ammirare solo su raccolte magnifiche come quelle curate da Ulrich Merkl e da Peter Maresca. Qui riportiamo tali e quali le scansioni immesse nella tesi, dimensionate per andare su fogli A4, spesso impoverite sino a diventare illeggibili e in qualche caso un po' sporche. Sono solo esempi funzionali al discorso della tesi, niente di più e non servono per gustare le tavole.
La parola torna al dottor Frassetto.
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Utilizzo funzionale della prospettiva: Winsor McCay
"Il fumetto è stato prospettico sin dall'inizio " (Daniele Barbieri). Ma, si potrebbe aggiungere, nel corso della sua storia (come per l'illustrazione editoriale ed i cartoni animati) ne ha stravolto le regole iniziali per adattarle alle proprie esigenze espressive. In principio, comunque, il riferimento è la prospettiva rinascimentale, ovvero il sistema che "permetteva di rappresentare nel piano la profondità spaziale con precisi rapporti tra le varie parti " (T.E. Bertoldo, Tecnica grafica). Questo perché agli albori del fumetto è ancora presente una forte influenza della pittura e dell'arte incisoria ottocentesca. Il carattere di questa nuova forma espressiva non si è ancora formato in maniera del tutto autonoma e bisogna attendere una decina d'anni. Ovvero quando irrompe sulla scena il genio innovativo di Winsor McCay.
Winsor McCay crea il suo personaggio più famoso nel 1905. Si chiama Little Nemo "un bambino (che) non vive nelle sue storie la vita di tutti i giorni: ogni notte viene trasportato in sogno negli immaginari mondi della fantasia dove vive avventure fantastiche e meravigliose sullo sfondo di preziose e accuratissime scenografie in ricercato stile liberty. Ogni suo sogno-avventura si svolge in una singola tavola, sempre diversa e nuova nella costruzione e nella distribuzione delle vignette, e si conclude con un brusco risveglio che spesso lo salva dalle situazioni difficili o pericolose in cui la sua fertilissima fantasia l'ha di volta in volta cacciato " (Franco Fossati, I fumetti in cento personaggi).
Nel disegno di McCay la realtà non è mai come appare nella sua rappresentazione. Egli sfrutta appieno tutti gli artifici che la prospettiva, l'inquadratura e il segno stesso gli forniscono per condurre il lettore in un'altra dimensione, sino alla tipica ultima vignetta che ha il compito infine di riportarlo alla realtà (la sua lezione sarà ripresa ottant'anni dopo da Bill Watterson, ne parleremo in seguito).
In una tavola del 1907 (figura sopra) Nemo e il suo amico Flip pattinano sul ghiaccio. Nella settima vignetta quest'ultimo casca in un cespuglio. Spostandosi poi dall'altra parte della superficie incontrano una pendenza e iniziano a scendere. Si scopre così che la superficie su cui si muovono, altro non è che la testa del nonno di Nemo. Che il sole all'orizzonte è in realtà un cerchio non meglio specificato posto sulla parete che fa da sfondo (tant'è che questi seguiva il movimento dei due personaggi: centrale nelle prime vignette, a destra nell'ottava, a sinistra nella nona: un tracciato che il sole non potrebbe mai seguire).
In tutti i suoi lavori McCay "piega" le regole della rappresentazione ai suoi bisogni e ne fa uno strumento per narrare.
"Uno straordinario delirio prospettico fa sì che noi ci domandiamo in continuazione se gli eroi viaggiano dove si invecchia, ci si ingrandisce o rimpicciolisce mentre le grotte e le montagne, le foreste e i palazzi sbocciano, si inclinano e scompaiono nello spazio di qualche disegno. Le composizioni simmetriche a cavallo di due vignette, i giochi di specchi orizzontali e verticali, i colori degni delle migliori composizioni, il capovolgimento dei punti di vista nelle linee di fuga dovute al fatto che Nemo, in assenza di gravità, passeggia sul soffitto (il mondo appare capovolto quando Nemo ha la testa in basso) etc. Tutto ciò smonta a dovere le leggi del cubo scenografico che, a forza di modifiche, ritrova la piattezza del supporto: la carta" (Pierre Fresnault Deruelle, Little Nemo in Slumberland).
L'artificio del passaggio dalla tridimensionalità alla bidimensionalità attraverso il gioco delle regole prospettiche è talmente presente nell'opera di McCay, da diventare in qualche caso il fulcro umoristico della tavola stessa. Nella tavola sopra Nemo invita a ballare una delle tante bambine che attendono in fila (fanno da tappezzeria, come si dice in gergo). Ma dopo un po' si accorge che in realtà le bimbe sono sagome disegnate sul cartone. È evidente il doppio senso giocato appunto sul "fare da tappezzeria", ma ancora più chiara appare l'illusione che attraverso il tromp l'oeil l'autore regala non solo al lettore, ma anche al suo personaggio. Viene ribadito così un concetto caro all'artista newyorkese: ""È la conquista della superficie a partire dalla rappresentazione dei volumi". McCay percorre nuove strade sino ad allora sconosciute nel relativamente giovane mondo del fumetto.
E lo fa dimostrando che l'uso dei mezzi tradizionali della rappresentazione (la prospettiva appunto) vi si possono adattare e migliorarlo. Nel disegno non vi è alcunché di rivoluzionario, anzi, i riferimenti sono classici. L'ornamento che fa da sfondo a tutte le sue vignette ad esempio è di chiara ispirazione art nouveau. In altre tavole le citazioni della pittura del passato sono ancora più esplicite.
La tavola seguente appartiene ad una serie di poco antecedente a Little Nemo intitolata Dream of the rarebit fiend (in italiano come "Sogni di un divoratore di crostini"). Iniziato nel 1903 sottoforma di striscia per il New York Telegram e firmato con lo pseudonimo di Silas, permette a McCay di sviluppare alcuni temi (il sogno-incubo, il viaggio onirico, il risveglio che riporta alla realtà) che riprenderà in seguito per il suo personaggio più famoso. Ma soprattutto gli dà la possibilità di sperimentare tecnicamente alcuni aspetti.
"In senso strutturale, McCay confermò interessi e convenzioni plastiche. I lettori non sapevano se l'inizio delle vignette rappresentasse la "realtà" o il sogno, non vi erano simboli precisi; l'ambiguità era in tutti e due decisa e nell'ultima vignetta la realtà interna della striscia si sarebbe rivelata, e il lettore avrebbe visto il sognatore da una distanza media. Senza alcun cambiamento nello stile del disegno, nella scrittura, o nei bordi delle vignette e senza ulteriori spiegazioni, il punto di vista sarebbe scivolato dai dentro i pensieri del sognatore a fuori del suo corpo. In questi tempi di espressione libera dalla tradizione delle strisce , McCay formulò delle ipotesi circa le percezioni del lettore, e i lettori, evidentemente, fecero ancor più semplicemente delle ipotesi sull'inerente padronanza del tempo, dello spazio, e dei fattori di continuità delle strisce a fumetti". (Richard Marschall, America's great comic-strip artists).
Nella tavola sopra il riferimento ad Andrea Mantegna e all'oculo nel soffitto della Camera degli sposi appare chiaro (figura successiva). Il protagonista sta per essere sepolto (ma questo lo si scoprirà solo nell'ultima vignetta) e dunque la sua visuale è quella di chi disteso volge il suo sguardo verso l'alto. Ovvero ciò che capita a chiunque si ponga (si spera in posizione eretta) sotto il centro di una volta per osservarne gli affreschi. L'aspetto innovativo è tutto nella scelta di una visione soggettiva (cinematograficamente definita "camera soggettiva") che fa coincidere alla perfezione il punto di vista del protagonista con quello del lettore.
La prospettiva è dunque molto particolare poiché le figure presenti alla scena appaiono in uno scorcio realmente inedito per le tecnica fumettistica del tempo e tendono a divenire sempre più imponenti man mano che la bara viene calata verso il basso creando una sensazione di allontanamento assai realistica.
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La paura di essere seppelliti vivi, descritta dalla tavola forse più celebre di Rarebit, è un tema classico della letteratura sin dal 18esimo e 19esimo secolo, dentro anche "The fall of the house of the Usher" di Poe. E poi ancora nella cinematografia. Ulrich Merkl in particolare cita Vampyr del 1932, diretto da Carl Theodor Dreyer: in una sequenza horror un uomo ossessionato dai vampiri sogna la propria sepoltura. Ma quella prospettiva ottica, un bird's eye inimmaginabile all'epoca, un grandangolo esasperato, anticipava di decenni tecniche di inquadratura che il grande schermo avrebbe sperimentato. Il cinema impiegherà decenni per arrivare a freddi effetti speciali nemmeno paragonabili alla potenza del disegno di McCay.
Etichette: architettura e fumetti, articoli, tesi laurea
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