mercoledì, settembre 19, 2007
Dream of the rarebit fiend di Winsor McCay
“Rarebit” (noto spesso anche come Welsh rarebit) è una sorta di crostino inzuppato di formaggio fuso. Qualcosa di ghiotto al punto di creare una compulsione al divoramento. Non certo un cibo leggerino per lo stomaco visto che McCay lo usa come spassoso e ossessivo innesco di incubi notturni (ma talvolta anche diurni) con conseguenti pentimenti e rimorsi (ma in qualche rara tavola McCay utilizzò anche altre minacce gastronomiche). Nella introduzione della prima raccolta del 1905 (fedelmente riprodotta nell’edizione Dover, vedi la copertina sotto) con alcuni finti articoli di giornale i curatori per gioco si divertirono a illustrare le antiche tradizioni di questa libagione e i suoi provati diabolici effetti scientifici. Questa ristampa pubblicata dalla Dover è un buon primo passo per chi voglia iniziare ad assaggiare la strip rischiando solo qualche euro (costa $ 9,95 su amazon) pur non essendo paragonabile in alcun modo alla maestosità della raccolta di Ulrich Merkl che vi abbiamo appena presentato.
Fiend poi è la parola chiave. Significa anche demone (nel senso di persona animata da uno spirito maligno interno) ma nell’accezione più comune è un termine legato alla dipendenza soprattutto, ma non solo, da droghe (“cigarette fiend” è il fumatore accanito). Il titolo originale sembra far riferimento a un preciso divoratore (“the”). In realtà questa è una strip senza personaggi e un cast fisso. I protagonisti degli incubi cambiano, sono adulti pescati dalla quotidianità e, aggiungerei, dalla loro meschinità. E questo è un primo punto di differenza con “Little Nemo”, l’altro capolavoro di McCay, con il quale per altro condivide molte prospettive, a partire dallo schema base, il telaio sul quale l’autore monta le fantasie.
Siamo nell’universo dell’onirico, il terreno preferito di McCay. Come in Little Nemo la strip apre con una visione, anche se in assenza di simboli fumettistici palesi il lettore non ha una consapevolezza immediata che gli sia mostrata la realtà o un sogno. È in apparenza una normale situazione. Poi il delirio si dilata in un crescendo e in un vortice continuo sino al risveglio finale dell’ultimo quadretto a destra. È il momento in cui ci si stacca bruscamente dall’osservazione del sogno e il malcapitato inveisce da solo o con la moglie o un amico, pentendosi per avere mangiato quella robaccia e promettendo di non farlo mai più. Unico tormentone fisso di una comic strip invece totalmente imprevedibile. In Little Nemo, come è noto, nell’ultima vignetta c’è il risveglio del bambino, spesso dopo una caduta dal letto.
I rapporti con Little Nemo e la nascita delle due celebri strip furono chiariti dallo stesso McCay in una nota intervista del 1907. In un primo disegno aveva immaginato un fumatore accanito, uno di quelli che la mattina si sente uno schifo se non può trovare la sua dose. E lo aveva piazzato al polo nord senza una sigaretta e sul punto di morire. Aggiunse alcuni personaggi sulla scena che, guarda caso, avevano tabacco, cartine e un fiammifero. Quest’unico fiammifero si spegne prima di accendere la sigaretta. Inquadrò tutto costruendo un finale che facesse apparire la scena come un sogno. Gli fu proposto di creare una serie, resa più comica e ironica dal fatto che gli incubi erano causati dall’ingurgitare quel veleno culinario del “rarebit”. Aggiunse McCay: “As for Little Nemo, that’s an idea I got from the Rarebit Fiend to please the little folk”.
Questo dice tutto sui rapporti e le differenze tra le due serie. Rarebit Fiend è dedicato principalmente agli adulti e Little Nemo è una derivazione per i ragazzi (anche per spessore artistico non può che essere apprezzato da tutti).
Le tavole di Rarebit giocano un terribile e crudele umorismo, costruito su trasfigurazioni, imbarazzi micidiali, perdite di identità, paure di morire, vertiginose cadute in abissi e spirali senza fondo, stati d’ansia, angosce ordinarie ma dilatate sino all’inverosimile, macchine incontrollabili, insetti enormi, disastri e distruzioni in città ad opera di mostri giganteschi che tutto scavalcano e schiacciano (precursori di King Kong). Quasi impossibile descrivere, per l’assenza di riferimenti costanti, la fantasia malata e cosmica di McCay. Di certo sono incubi esageratamente peggiori di quelli che una persona normale potrebbe avere. E anche in questa enfasi e dilatazione delle visioni risiede la tremenda comicità e l’ironia di Dreams of a rarebit fiend. L’orrore non è mai puro, si sorride, ci si sorprende. Non c’è una tavola che lasci indifferente l’osservatore. Allo stesso tempo, personalmente, non ne consiglierei la lettura prima di addormentarsi per evitare di regalarsi al volo incubi che non avevamo nel nostro archivio personale. Può sembrare a tratti una visione cupa della natura umana ma è anche un modo giocoso per esorcizzare le paure. Dipende dal lettore, dal suo approccio e in fondo non bisogna mai dimenticarsi che è una comic strip.
Molte tecniche di disegno anticipano decenni. Troviamo prospettive stranissime nelle quali l’autore aveva una maestria sbalorditiva. Persino un bird’s eye inimmaginabile all’epoca. Molte composizioni delle sequenze presentano caratteristiche cinematiche influenzate anche dalla nascita del nuovo medium. Anche le metamorfosi sono stupefacenti e qualcuno (Pierre Stercks nel libro dedicato al centenario di Little Nemo, edito in Italia da Coconino) arriva a parlare di anamorfosi, cioè perversione della visione, perdita della forma (l’esempio più banale e classico è quello di un immagine in uno specchio concavo o convesso). Il cinema impiegherà decenni per arrivare a freddi effetti speciali nemmeno paragonabili alla potenza del disegno di McCay.
Per quanto abbastanza timido di carattere, McCay per lungo tempo e con piacere aveva svolto il mestiere del disegnatore ambulante, mostrava il talento dal vivo in esibizioni, prolifico, esperto e velocissimo. Aveva girato a lungo, frequentando il mondo delle esposizioni, delle fiere, dei circhi e degli spettacoli. Era rimasto colpito dalle titaniche e spettacolari strutture architettoniche delle prime metropoli americane. Quei mostri, quei colori, quelle prospettive infinite gli regalarono la passione per il fantastico e il grottesco.
Le tavole sono firmate come Silas perché i legami contrattuali di McCay non gli consentivano di usare il suo vero nome. L’esordio di Dreams of the rarebit fiend avvenne nel settembre del 1904 (Little Nemo seguì nell’ottobre del 1905).
Zenas Winsor McCay disegnava con un virtuosismo incredibile sin da bambino, non riusciva a farne a meno. La leggenda racconta che fu persino picchiato dai compagni di scuola per questo. Inutili gli sforzi di genitori ed educatori nel tentare di limitarlo. Era dotato di una fenomenale memoria visiva, con una eccezionale cura dei dettagli. Tutta la sua vita fu dedicata al disegno ed è considerato uno dei pionieri dell’animazione cinematografica (era capace di produrre da solo le migliaia di illustrazioni necessarie, un lavoro pazzesco). Realizzò diverse altre serie di comic strip prima di Rarebit e di Little Nemo (ne parleremo ancora) molte delle quali già sul territorio onirico. Concluse la sua carriera arruolato da Hearst come illustratore di editoriali politici. Una fase un po’ triste. Queste tavole dell’ultimo periodo, ancora impressionanti dal punto di vista tecnico, sono considerate uno spreco e una limitazione del suo immenso talento.
Etichette: articoli, storia, strisce e autori
Winsor McCay era un genio assoluto.
Le sue stotie sono fantastiche e fortunatamente esistono persone come Ulrich Merkl che lavorano per hare in modo che la sua opera non vada perduta.
Una curiosità.... 'rabbit' è un refuso o il coniglio ti causa gli stessi effetti?
scherzo per un errore in 50 righe ed io ne ho fatti 2 in sole 5 righe.
Meglio che vada a dormire
(il coniglio è qualcosa di molto onirico comunque,Donnie Darko, Inland Empire e tanti altri film)
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page
Iscriviti a Post [Atom]