lunedì, gennaio 31, 2011
La prospettiva onirica di McCay, seconda parte (estratto dalla tesi di Steve Frassetto 3)
Seconda parte dedicata alla prospettiva in McCay, estratta dalla tesi di Steve Frassetto. Qui entra in gioco soprattutto la distorsione onirica.Valgono le avvertenze segnalate nell'introduzione alla prima parte alla quale rinviamo. Seguirà poi, con un bel salto di tempo, una terza parte dedicata alla prospettiva minimale nel mondo dei Peanuts di Schulz e poi ancora in quello fantasioso di Calvin & Hobbes.
************************************************
Nel mondo immaginario di McCay l'elemento onirico è la giustificazione allo stravolgimento di tutte le regole e le convenzioni del disegno. Egli "organizza tutto il suo discorso nell'illimitata gamma che passa tra il senso della percezione in sé e la precisione nettissima di una visione come se fosse reale. Come terminali entro cui articolare questa gamma, egli ritrova nel sogno e nella sua dialettica col risveglio le varianti più ricche di "significato" e più collegate ai processi autentici della conoscenza "visiva", intesa soprattutto come collezioni di visioni (…) " (Gino Frezza, L'immagine innocente. Cinema e fumetto americani delle origini).
Questo giocare sulla percezione visiva è alla base di numerose tavole di Little Nemo e permette all'artista di distorcere la realtà circostante in maniera sorprendente, manipolando forme che per definizione dovrebbero essere solide e immutabili. Nella tavola sopra, Nemo e i suoi amici si apprestano a compiere un'azione abbastanza comune tra i ragazzini; ovvero scendere a cavalcioni lungo il corrimano. Lungo il percorso però la scala (che ad occhio appare costruita di solido marmo) inizia a cambiare forma. Le curve si moltiplicano e divengono assurdi angoli retti; gli scalini formano dei saliscendi simili alle montagne russe; l'andamento diventa quello di un'interminabile spirale. Alla fine di questo percorso allucinante appare quasi naturale che la discesa del protagonista termini nel vuoto dello spazio tra stelle e luna. La scala dunque, elemento solido e rigido per eccellenza viene distorta poiché evidentemente nella percezione di McCay è cambiata la sua consistenza materiale (più gomma che marmo).
La tavola seguente si può considerare una variazione sul medesimo tema della scala. In questo caso anziché una distorsione, ci si trova dinnanzi un progressivo ingrandimento. La fuga dei tre personaggi si ferma quando ogni singolo gradino inizia a crescere a dismisura sino a divenire impraticabile. Anche in questo caso, più che ad un massiccio scalone di palazzo pare di trovarsi al cospetto di una scala mobile. Alla fine le sue dimensioni diventano reali per il gigante sullo sfondo e macroscopiche per gli altri personaggi.
McCay si diverte spesso a stupire il lettore con questi stranianti giochi di ridimensionamento degli oggetti: Nemo si trasforma così in un (relativamente) moderno Gulliver; ma non è sempre così chiaro se sia lui o la realtà circostante a crescere o rimpicciolire a dismisura. In questa tavola ad esempio, pur in un clima come sempre surreale, ogni cosa mantiene le sue proporzioni. I giganti compongono e dopo scompongono un'intera città davanti ai suoi occhi: i palazzi, sfarzosi e imponenti per Nemo, divengono veri e propri giocattoli nelle loro mani.
Allo stesso modo nell'esempio seguente gli oggetti, in questo caso la città, mantengono le loro dimensioni: sono i personaggi a diventare "giganti", come si può facilmente dedurre dal rapporto con le altre figure umane presenti. Questa trasformazione mette sotto una luce del tutto particolare il paesaggio urbano circostante. Gli alti palazzi di New York diventano gradini da scalare, acquisendo così un'inattesa funzionalità alla quale l'occhio umano non è ovviamente abituato.
Oltre al ridimensionamento delle forme, McCay si cimenta spesso con il loro ribaltamento, quasi a non voler lasciare inesplorato alcun aspetto della geometria descrittiva. Nel caso tavola sotto ci si ritrova al cospetto di uno scenario piuttosto curioso. Nelle prime vignette infatti Nemo viene condotto in un salone in cui c'è un caminetto. Nella quarta vignetta il caminetto si ribalta con una rotazione di 45 gradi e scopre così dietro di sé una scala nascosta (si possono anche notare i due alari che si inclinano a loro volta, quasi per contrapposizione meccanica, come in un perfetto ingranaggio): è il punto d'accesso ad un enorme salone i cui percorsi sono dei veri e propri labirinti. In questo piano vi sono balaustre e colonne che apparentemente non sorreggono nulla (è una deduzione basata sulla passione di McCay per queste visioni quasi surreali, poiché l'inquadratura non si spinge così in alto).
L'utilizzo funzionale della prospettiva in Little Nemo passa dunque attraverso la sua manipolazione. "Le somiglianze e le dissomiglianze (…) le gioie e le felicità che appaiono e scompaiono durante il viaggio tra sogno e realtà, sono tutti organizzati su un'infinità di scontri di grandezze spaziali variabili che mettono a dura legge la percezione di uno spazio sempre costante e dalle caratteristiche permanenti. McCay difatti sostiene ineccepibilmente la stessa narrazione delle avventure di Nemo riempiendola di occasioni e incontri che spesso nient'altro sono se non i risultati della stupefatta e a volte inerte curiosità di fronte alle modificazioni dell'universo in cui egli si trova immesso, modificazioni che altro non sono che l'illimitata possibilità di manifestare degli schemi prospettici come rappresentazione di un universo che in essi trova (o non trova) le condizioni per il suo riconoscimento (o per il suo stravolgimento). Il discorso di McCay è chiaro: si tratta di un'interminabile sperimentazione su come certe apparenze si organizzano per comunicare dei valori socialmente determinati e su come possono diventare simbolo di un certo modo di conoscere e di operare. Essa è infine una prova che gioca non solo con i limiti astratti che fanno permanere la percezione di uno spazio (attuale e virtuale) ma anche con se stessa, come operazione che riflette sulla permanenza di cui sopra o sulla caduta vertiginosa di quei limiti astratti " (Gino Frezza, L'immagine innocente ecc..)
Etichette: architettura e fumetti, articoli, tesi laurea
comunque bravissimo.
Sabato sono andato in valle a fotografare una colonia di fenicotteri rosa.
(Sempre che qualcuno a fianco mi dica: "ecco quella è una sula" "quello uno stercorario", ecc...)
E' che non ho l'atterzzatura giusta per quel genere di uscite.
A partire dallo stomaco.
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page
Iscriviti a Post [Atom]