venerdì, agosto 31, 2007
The Rufus Cut
giovedì, agosto 30, 2007
The Little King di Otto Soglow
Nella stravagante categoria delle strisce mute "Il Piccolo Re" (The Little King) di Otto Soglow (1900-1975) è forse la più particolare, anomala e lirica. In realtà la scena non è completamente silente. Chi non parla mai, come regola di stile determinata dall'autore, è il re. Alcune frasi, non molte, arrivano dalle comparse di contorno, come squilli di tromba.
L'ambientazione è quanto di più insolito ci si possa aspettare. Il protagonista è un monarca, piccolo in altezza ma ben grassoccio, con baffoni, ermellino e una corona ingegnosa per come è stilizzata. Non è dispotico. Neppure ci sono tracce di satira mirata all'epoca delle tirannie monarchiche. Soglow si diverte a ricostruire con una grande sobrietà tutto l'armamentario delle regie di una volta che invece, come si sa, era alquanto pomposo. Al minimalismo verbale si aggiunge quello grafico con un tratto lineare, fondato su rotondità quasi geometriche, niente retini, rari i riempimenti nella ordinaria versione in bianco e nero.
Ciambellani impettiti sempre con il petto in fuori. Grandi scalinate, ampi saloni, uniformi da parata, mostrine, alamari, generali, cortigiani. Problemi di visite con varie teste coronate, scià, sultani, diplomatici. Grandi formalità ed etichette. Un mondo per gli europei in estinzione (siamo nella prima metà del novecento). Sconosciuto, lontano e affascinante per gli americani, quasi esotico per loro.
Il piccolo re si fa capire solo con pantomime, non si inquieta, non sbraita. Ha desideri da bimbo di pochi anni, talvolta sembrano quelli dell'uomo qualunque della strada, è superattivo, giocherellone. Mentre tutto è intorno terribilmente serioso e convenzionale lui prende l'iniziativa per risolvere i problemi con soluzioni che, in contrasto, sono poeticamente infantili. Ha potere, assoluto come è regola per uno che sta su un trono, ma l'esercizio bizzarro che ne fa non cambierà mai la rigidità dell'etichetta e l'impassibilità dei cortigiani.
Le gag sono tutte visive, nessuna battuta, questa è la meraviglia. Ci vuole davvero fantasia a immaginarsi un gioco così, serve una gran maestria per tirarne i fili, per portarlo avanti. Si comprende la piacevole sorpresa per il lettore e il successo di queste tavole.
The Little King è una comic strip ormai antica, chiusa con la morte dell'autore nel 1975. È stata pubblicata anche dalle nostre parti e ha avuto l'onore di una raccolta nella collana Oscar Mondadori. Soglow la creò nel 1931 per il New Yorker. Attirò presto l'attenzione di un magnate dell'editoria come William Randolph Hearst, un tipaccio che aveva tanto fiuto per gli affari quanto gusto per le buone strip. Non potendo portarla subito sul King Features Syndicate, a causa dei vincoli con il precedente editore, per i primi anni produsse una sorta di clone chiamato "The Ambassador".
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mercoledì, agosto 29, 2007
Inside Woody Allen
Charlie Brown, i Peanuts, sono come certo jazz, "ripetono con ostinazione, ma con un senso del ritmo, qualche elemento fondamentale" - diceva Umberto Eco nel dibattito con Vittorini e Del Buono che vi abbiamo riproposto qualche post fa. "The comic strip, like jazz, is a uniquely American art form", un'arte con un proprio linguaggio e struttura, scriveva Richard Marschall, uno dei più grandi cultori del genere, anche lui evocando quel genere musicale per descrivere le strisce. C'è però ancora un'altra similitudine con il jazz. Anche le strisce tendono a metabolizzare un po' tutto. Qualsiasi tema o soggetto può essere "musicato" sotto la forma comic strip.
Così, nel 1976, avvenne che un personaggio tratto dalla vita reale e ormai già popolarissimo come Woody Allen divenne protagonista di una comic strip. La striscia, disegnata da Joe Marthen, sbarcò quasi immediatamente in Italia su Linus nel numero di ottobre dello stesso anno. L'introduzione fu scritta in pompa magna da Oreste Del Buono che dirigeva il periodico con una gran voglia di perlustrare nuovi percorsi fumettistici.
Allen era già nell'immaginario collettivo un perfetto antieroe da comic strip. S'incasinava la vita con divorzi e separazioni, aveva già prodotto alcuni dei suoi più famosi capolavori (Play it again, Sam), scriveva sceneggiature e dirigeva film ai ritmi da vaporiera a cui ci ha abituato. Ma soprattutto era un personaggio di per sé, umoristico, autoironico, disadattato, pieno di ossessioni e insicurezze. O almeno questa è la parte che ha sempre recitato nelle interviste e nei contatti umani, mischiando un po' le carte con il suo mondo parallelo. Insomma era come aver trovato un Charlie Brown in carne e ossa, per di più già adorato dal pubblico, dalla critica e dalla intellighenzia. Perfetto, praticamente pronto per una trasposizione in una comic strip. Perché mai non realizzarla davvero?
In realtà le cose non erano e non sono così semplici. Del Buono venerava Allen, non poteva perdere l'occasione e Linus si spese molto dando tanto spazio a quell'esordio. La strip era carina, ma niente di eccezionale. Disinvolta e graziosa, come la definì OdB, aggiungendo che ne ricordava tante altre. E per indorare un po' la presentazione rammentava "che una striscia ha bisogno di tanta routine per diventare il disegno giusto di se stessa". Gran intenditore Del Buono, aveva naso per i fumetti e non era del tutto obnubilato dall'onore di avere, seppur cartonato, il grande Woody.
Inside Woody Allen non durò a lungo e non ebbe grande successo. Su Linus andò avanti per pochi numeri. Dopo soli due anni la striscia passo dalle mani di Joe Marthen a quelle di Stuart Hample che proseguì sino al 1983.
Il limite della strip? Innanzitutto con un personaggio reale è in agguato sempre un effetto caricaturale. E questo, fateci caso, disturba non poco la sinfonia e l'equilibrio delle comic strip. Qualche volta gli autori ne introducono incidentalmente alcuni nelle loro tavole. Attraggono un po' perché la gente è sempre curiosa dei vip ma nel contesto spesso appaiono alieni all'universo creato dal cartoonist.
Il Woody su carta, con quella faccina, alla fine era meno espressivo e soprattutto molto meno divertente di quello vero. La strip lo trasformava in un cliché, il che forse è l'ultima cosa che desidererebbe un cultore di Allen. Aggiungeteci che la striscia era un compitino ben fatto, disegnata benino ma priva di spunti originali o gag davvero spassose. Insomma non particolarmente singolare anche per il comune lettore appassionato di comic strip.
Trovate un po' di strisce in questo archivio in rete su Barnacle Press
[Nota a margine sugli equilibrismi espressivi di certi apprezzamenti della critica, dei colleghi o dei lettori. Dubitare sempre di certi aggettivi: quando vi dicono che siete "validi fumettisti" (o che la strip "è carina" ) cominciate a cercarvi un cappio. Quel "validi" vela un giudizio di valore che galleggia tra il sei meno e il "non posso dirvi che fate schifo ma di sicuro c'è molto di meglio di voi". Non si può essere ordinari, anche in questa piccola arte.]
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lunedì, agosto 27, 2007
Ludwig - la striscia del lunedì
venerdì, agosto 24, 2007
The Rufus Cut
giovedì, agosto 23, 2007
Flaschko di Nicolas Mahler
[post a cura di Umberto Randoli]
Sul mensile di Repubblica XL viene pubblicata con regolarità la striscia "Flaschko, der Mann in der Heizdecke " (l'uomo con la termocoperta) dell'austriaco Nicolas Mahler (una piccola rassegna di strip sul webcomic magazine austriaco comic.at).
Mahler ci mostra come può essere complesso un mondo molto ristretto. Flaschko trascorre la sua vita, giorno dopo giorno perennemente avvolto nella termocoperta da cui fuoriesce solo l'enorme naso (una caratteristica dei disegni dell'autore). Vive in un salotto dall'arredo essenziale: poltrona, televisore su un tavolino e, in secondo piano, la mamma che tenta di comunicare con lui. Lei è l'unica persona con cui il protagonista interagisce, inutilmente e caparbiamente non si stanca di dargli suggerimenti su come potrebbe impiegare meglio la sua vita. È un'ingombrante spalla comica, utile per la sua sopravvivenza ma comunque un'intrusione nel suo quotidiano. Flaschko farebbe molto volentieri a meno delle sue prediche.
A prima vista sembrerebbe una situazione statica ma Mahler riesce a tirare fuori sempre nuove idee.
Nicolas Mahler è nato a Vienna nel 1969. Oltre questa striscia per il quotidiano viennese "Welt Kompakt", ha creato anche Désir e Le Labyrinthe de Kratochvil (pubblicati in Canada), Lone Racer, Lame Ryder, TNT, Emmanuelle's Last Flight e Kratochvil (pubblicati in Francia). Nel 2006 ha vinto il Max-und-Moritz-Preis.
Ha un disegno essenziale ma molto efficace, un vero peccato che da noi per ora sia arrivata solo questa strip. Molti altri lavori della sua vasta produzione attendono di essere tradotti in italiano.
Di recente Mahler ha tratto da Flaschko una serie animata. Ha realizzato anche altri due corti animati, Der Park e Bad Job. Sul Malher Museum, suo sito ufficiale in rete, trovate un'ampia panoramica dei suoi lavori (in questa pagina alcune strip in lingua originale).
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mercoledì, agosto 22, 2007
Strisce silenti (3) - Vater und sohn di E.O. Plauen
"Vater und sohn" (Padre e figlio) dell'autore tedesco E. O. Plauen è una striscia silente pescata da un remoto, polveroso e malinconico scaffale. Dietro c'è anche il silenzio della storia e degli anni su un dramma della prima metà del secolo scorso. Erich Ohser (1903-1944), già da tempo sospettato per le sue amicizie, fu accusato di attività anti hiltleriana e nel 1944 dopo una denuncia alla Gestapo si suicidò.
Le sue tavole, semplici, buffe e un po' surreali raccontavano con la sola forza di un disegno lineare il rapporto tra un padre e un figlio, le loro strambe avventure giornaliere. La grazia, l'ironia e la delicata poesia regalarono ai due personaggi una grande popolarità in Germania.
Lo pseudonimo usato per firmare le tavole deriva dalle iniziali del proprio nome e cognome seguite dal richiamo a Plauen, l'amata città della Sassonia dove aveva vissuto da bambino.
Purtroppo non esistono siti in inglese su questa comic strip, solo quello ufficiale in lingua tedesca: www.vaterundsohn.de/ .
Diverse raccolte sono ancora reperibili ma solo nella localizzazione teutonica di amazon.
[Prima che qualcuno alzi la mano: esistono tante altre strisce silenziose, di qualche altra parleremo tra un po', questa miniserie non ha alcuna pretesa di completezza. Come abbiamo detto altre volte questo è un blog di appunti, senza pretese enciclopediche e omnicomprensive sul tema]
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lunedì, agosto 20, 2007
Ludwig - la striscia del lunedì
venerdì, agosto 17, 2007
The Rufus Cut
giovedì, agosto 16, 2007
La pagina di comic strip de Il Giorno
Il quotidiano Il Giorno fu uno dei più aperti e innovativi nel pubblicare fumetti. Ne abbiamo parlato in un post precedente mostrando una copertina del supplemento "Il giorno dei ragazzi".
All'interno delle pagine del giornale, come su Paese Sera, era però presente una vera pagina di comic strip secondo il modello classico. Con alcune varianti e adattamenti, derivanti da scelte editoriali ben precise, come racconta il curatore Giorgio Ciattoni in un'intervista su Eureka dell'aprile 1971. Nella scelta dei fumetti si decise di dare più spazio a quelli di avventura: nella pagina mostrata sotto I Segugi di J. M. Burns e Mary Atkins di Leonard Starr. Sono "continuity strip", racconti a puntate che andavano avanti un giorno dopo l'altro, tanto da richiedere un testo con un breve riassunto per il lettore che avesse saltato qualche uscita in edicola. Di norma nelle pagine classiche americane questo aiuto non compare e in generale le strip a puntate sono assolutamente minoritarie rispetto alle umoristiche autoconclusive. L'altra peculiarità della pagina, in comune anche con i fumetti per il supplemento a colori, stava proprio negli autori scelti. La redazione decise di attingere maggiormente dalla produzione inglese per liberarsi un po' dal "racket" dei syndicate USA.
I lettori si affezionavano ai personaggi e si facevano sentire quando una strip veniva sostituita da un'altra. Queste divertenti diatribe con letteracce alle redazioni avvengono anche in tutte le altre pagine di comic strip del mondo. Racconta il curatore ad esempio che tentarono di abbandonare Ferdinando, ritenuta una strip ormai matusa ma le proteste furono tali e tante che dovettero recedere. Trovarono un po' di fatica per introdurre Andy Capp (diventerà Carlo e Alice in diverse edizioni italiane), al tempo ritenuto molto innovativo come specchio sociale, al posto di Arcibaldo. I reclami per quest'ultimo però arrivarono da persone un po' anziane, plebe lettrice di scarso interesse in un'ottica di cinico marketing editoriale. Come cambiano i tempi: oggi è Andy Capp, pur rimanendo un gran bel classico, ad apparire un po' datato.
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mercoledì, agosto 15, 2007
Strisce silenti (2) - Perkins di John Miles
Su Eureka, alcuni anni prima del Giuseppe di Jacovitti, era apparsa un’altra strip silenziosa, Perkins di John Miles, davvero molto semplice e lineare. L’assenza di parole in questo caso lascia spazio ad un umorismo di geometrie e apparenze.
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lunedì, agosto 13, 2007
Ludwig - la striscia del lunedì
venerdì, agosto 10, 2007
The Rufus Cut
giovedì, agosto 09, 2007
Strisce silenti (1) - Giuseppe di Jacovitti
Le comic strip funzionano come fusione, ancor più che come sintesi, di disegno e parole. Ogni tanto però qualche autore sperimenta tavole silenti. Sono perfette per un pubblico internazionale, non devi arruolare un traduttore. Sono esercizi di stile non facili, tutta la comunicazione e il gioco delle gag si appoggia sulle acrobazie del disegno.
Questa che vi proponiamo oggi è Giuseppe di Jacovitti, l'unica sua serie totalmente muta, introdotta da Fruttero e Lucentini sul numero di marzo 1975 de Il Mago.
Un erede di questa corrente sperimentale è il nostro Giuseppe Scapigliati con la sua Vincenzina. Questa strip è costruita anche con alcune innovazioni e ha una particolare filosofia. Vi rinviamo alla scheda dedicata sui Ragnacci del Web.
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mercoledì, agosto 08, 2007
Gli originali, una riflessione di mezza estate di Mak (seconda parte)
[Seconda parte del discorso di Mak rivolto con divertente furia iconografica a smantellare il significato e l'importanza dell'originale (ma l'aveva scritta prima della contro riflessione di Cius, non è una risposta). In realtà ci dice una cosa che forse già sappiamo e sulla quale non si può non essere d'accordo: in molti casi non esiste un originale. Ancor più oggi non esiste se l'opera dell'ingegno è realizzata con mezzi informatici.
Questo vale anche in molti casi di opere artistiche già prima dell'era informatica: quale sarebbe, ad esempio, l'originale di una composizione musicale? Lo spartito? Ovviamente no. Però di fatto tanti si svenerebbero per possedere uno spartito "originale" di Beethoven, con le note scritte da lui. C'è una distorsione di fondo nel ragionamento: l'originale non è l'opera d'arte, non si identifica con l'opera dell'ingegno (con l'eccezione delle arti figurative tipo pittura o scultura). Tanto è vero questo che l'acquirente di un originale non è titolare dei diritti d'autore su di esso. Non certo dei diritti morali (inalienabili, non può alterare l'opera, non può non riconoscerne la paternità, ecc) e nemmeno dei diritti economici o di riproduzione (che invece sono cedibili ma non sono affatto legati alla cessione dell'originale).
Qual è allora il valore dell'originale? Beh, storico innanzitutto, e non è poco. Autobiografico, una autografia tangibile dell'autore. Ma nelle arti figurative, e i fumetti possono rientrare tra queste, c'è di più. C'è l'emozione del contatto visivo con l'opera. Che fai, caro Mak, se un giorno vuoi mettere su una mostra? Porti dei cd, porti i monitor? Il freddo ci ucciderà. Pictures at an exhibition, "Quadri di un'esibizione", Mussorgsky (o, se volete, la gustosa versione pop degli Emerson, Lake e Palmer negli anni '70), raccontava in musica le sensazioni trasmesse dal girare per una mostra, che sono ben altra cosa dal vedere le opere nel migliore e più lussuoso dei cataloghi. E le esposizioni di tavole di fumetti si fanno ancora, eccome. Certo, ci si può portare la perfetta riproduzione meccanica, bella grande, di un lavoro realizzato con la tavoletta grafica. Ma vuoi mettere con l'emozione di trovarsi a meno di mezzo metro dal becco i colpi di matita e le sfumature di Pazienza, i veri colori di Barks, le incertezze dell'ultimo Schulz, le correzioni di McManus.
Vero è anche che le nuove generazioni di cartoonist, anche quelli che non usano la tavoletta grafica, tendono sempre più a rielaborare parte delle tavole al computer, usano font per il lettering, non più scritto a mano. Inevitabilmente di originali veri non si può più parlare. Stanno sparendo, scompare l'idea. Ma non la loro bellezza.]
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lunedì, agosto 06, 2007
Ludwig - la striscia del lunedì
venerdì, agosto 03, 2007
The Rufus Cut
giovedì, agosto 02, 2007
Gli originali, una contro riflessione di mezza estate di Cius
[Dibattito! Sul tema degli originali Cius ci offre un punto di vista che è ben più di un commento. E allora apriamo un altro post. Quasi contro tecnologica, come leggerete, la sua voglia di originali genuini, sempre pensato che l'amico Fabrizio Mischiati fosse il più "contadino" (con tutte le valenze positive di questo aggettivo) tra i nuovi cartoonist. Un vero contro altare alla visione di Mak di ieri.]
Che si disegni a computer o che lo si faccia su carta un autore produce in quel momento un originale. La prima copia visibile a terzi della sua immaginazione. Guardare una strip a computer o toccarla con mano attraverso un mezzo come la carta può dare sensazioni diverse, ma lo scopo, e cioè comunicare, è comunque raggiunto. Il lettore ha ricevuto il messaggio.
C'è da tenere presente una cosa però: l'autore che usa un computer produce una prima copia del suo lavoro che ha lo stesso valore della millesima o della milionesima, essendo di fatto sempre la stessa più volte riprodotta. Quando una delle copie finisce in un medium diverso: sito web, carta, televisione, giornale, rivista, ecc, assume un altro valore. Il valore che nasce dal suo utilizzo. Stessa cosa per l'autore che lavora su carta: dopo aver trasformato in bit il suo lavoro, il valore nasce dalla riproduzione dello stesso su destinazioni diverse, avendo però in più, un valore aggiunto: l'originalità di cui si discute tanto, appunto. Quel pezzo di carta dove sono stati impressi per la prima volta le linee e i colori ha un valore tutto suo. Valore nato dai materiali utilizzati e dalla tecnica scelta.Quel pezzo non assume più significato di "stampo" ma di "opera". Perdere le copie digitali non ha importanza se l'originale è salvo, da lì altre mille copie più o meno perfette possono essere riprodotte. Perdere l'opera sorgente significa lasciare della stessa solo tracce simili di sé.
Paradossalmente poi per chi disegna a computer "l'opera sorgente" si trasformerebbe dal disegno al file che lo contiene. Il contenuto si trasforma in contenitore. Quel file con una certa data e con una certa grandezza definisce il "primo", l'"originale". Qualsiasi altra copia ne è un semplice clone. Legare il concetto di valore ad un formato effimero come un file (alcuni tra anni potrebbero non essere più leggibili dalle future tecnologie) è un po' avventato e sicuramente singolare.
Discorso a parte va fatto per la velocità e la fruibilità dei nuovi mezzi tecnologici. Certo disegnare con tavolette grafiche permette di essere molto più produttivi, permette di abbattere i costi dei materiali, permette di non sbagliare più, di ottenere da subito un prodotto finito e pronto per la distribuzione. Disegnare su carta ha i suoi contro, dalla fragilità del mezzo alla difficoltà della tecnica (un pennino con china non sarà mai semplice da utilizzare quanto una penna ottica e un acquerello richiede una tecnica che su tavoletta si può benissimo non avere), oppure dalla difficoltà di correggere gli errori, dalla necessità della trasformazione digitale e delle relative apparecchiature, ecc. Scegliere il mezzo è una decisione personale. Decidere se si vuole innalzare la produttività o la qualità sta all'autore. Personalmente sostengo che il concetto di "opera" e di conseguenza di "originale dell'opera", stia nella realizzazione dell'idea e nei materiali con cui viene realizzata. Vedo l'informatica come un ottimo mezzo di diffusione e presentazione non come un supporto definitivo e concreto che sostituisca carta e inchiostro o altri supporti tangibili.
Questa è l'unica (per il momento) tavola di Quiff interamente realizzata a mano. Per i maniaci: carta Schoellers serie Durex 250gr, inchiostro Faber-Castel PITT artist pen, dimensioni totali 21,5cm x 8,2 circa. L'unico intervento al computer è stata la scansione. Per l'occasione non l'ho neppure ripulita dagli sgorbi a matita. È un regalo virtuale a Balloons e a tutti quelli a cui piace Quiff (pochi ma buoni). Credetemi, realizzarla è stata una goduria: altro che il Shift+Ctrl+Z di Photoshop, riquadri già pronti, scritte preimpostate, la firma, il lettering... cose che erano mesi che non facevo più. Bello riappropriarsene. In questi giorni sto pensando di spendere un po' di euro e farmi un regalo. All'inizio pensavo ad una tavoletta grafica pure io, poi ho visto un magnifico set di acquerelli di ottima marca in una vetrina di un negozietto di belle arti e me ne sono innamorato. Forse prendo quelli. E io manco li so usare bene gli acquerelli. Può essere che ci prenda gusto e che le prossime tavole di Quiff in futuro siano tutte realizzate a mano. E può essere pure che così facendo non riesca più a tenere il già misero aggiornamento alla settimana sul blog... vedremo.
Al diavolo le statistiche e gli accessi giornalieri.
Cius
www.quiff.it
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mercoledì, agosto 01, 2007
Gli originali, una riflessione di mezza estate di Mak (prima parte)
[Tutto è nato da una richiesta a Mak, alias Marco Dambrosio, l'autore di Rufus che da qualche settimana vi allieta il venerdì. "Potresti regalare un originale?"
Lo chiedevo per il piccolo museo delle comic strip Balloons, non per appenderlo come trofeo nello studio, come se fosse l'equivalente di una testa di cervo per un cacciatore di comic strip. Dambrosio ha proposto in risposta una spassosa riflessione sul tema, secondo il suo stile, con spunti anche molto seri. C'è da ragionare, per chi ne abbia voglia, su cosa significa produrre un lavoro artistico nell'epoca informatica. Una prima risposta paradossalmente può arrivare dalla stessa antica tutela legale del diritto d'autore che da sempre, come vedremo, si guarda bene dall'identificare l'opera dell'ingegno con il primo supporto materiale su cui è realizzata. Ci ritorneremo ancora, soprattutto quando uscirà la seconda puntata che attendiamo.
Al tema degli originali avevamo dedicato uno dei primi post su Balloons, ma era appena didascalico. Qui invece il discorso si fa più serio ma anche molto più divertente.]
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