martedì, dicembre 12, 2017

 

La mostra di originali "I Postorici" di Luciano Bottaro




QUESTA NON È UNA POSTFAZIONE
di Giovanni Nahmias

Negli ultimi anni è sempre più frequente trovare mostre di tavole originali a fumetti ospitate da musei. Un contesto molto importante: da un lato si contribuisce a promuovere nei visitatori la cultura del fumetto come arte, dall’altro si riconosce (finalmente) ai cartoonist lo statuto di artisti.
Luciano Bottaro è stato un grande artista, inventore di storie memorabili per personaggi celebri, ma soprattutto di nuovi personaggi che abitano i suoi colorati mondi di fantasia.
Una caratteristica dei grandi autori è che ogni loro creazione possiede sempre la stessa caratura artistica.
È il caso dei Postorici, che forse possiamo considerare nella vasta produzione di Bottaro un lavoro minore, per quantità e diffusione.
In realtà a ben guardarlo è un fumetto compiuto, nella concezione e nell’esecuzione, un fumetto con un grande potenziale creativo (perfetto ad esempio per una versione animata che è stata anche progettata).
Ma la storia dei personaggi a fumetti è pirandellianamente come quelle delle persone reali: fatta di momenti giusti e momenti sbagliati, condizionata dal maggior o minor tempo a disposizione per crescere (soprattutto nel caso di un autore che ha tanti altri personaggi a cui pensare), per cui si ha la sensazione che i Postorici non ci abbiano raccontato tutte le loro possibili storie.
Sono sicuro che Bottaro li ha inventati e disegnati perché lui per primo si divertiva un sacco.
Anche per questo i Postorici li sento particolarmente vicini al loro papà (e difatti proprio a loro Bottaro nel 2001 ha dedicato il numero unico dell’almanacco di fumetti comici Post): in quanto frutto solare e divertente di un mugugno ligure cosmico sul senso della storia, sull’umanità destinata a sbagliare e a ricominciare (per sbagliare di nuovo?).
Narrativamente offrono molti spunti importanti: geniale l’invenzione di uomini preistorici che fanno gli archeologi, come geniale l’idea che un dopo-bomba abbia popolato la terra di animali fantastici e colorati (irrinunciabili per Bottaro) o che ognuno parli con un proprio difetto (?) di pronuncia.
Come se anche gli umani fossero esemplari unici di una loro razza.
Infine una nota di forma, i disegni di Bottaro hanno una caratteristica tipica dei grandi maestri, ben evidenziata dalla selezione in mostra e in catalogo: sono senza tempo!
Anzi sono sempre moderni, con la loro linea chiara, con i loro colori pastello accesi. In questo i Postorici sono esemplari: freschi, puliti, sempre contemporanei.
Una mostra di tavole e illustrazioni dei Postorici allestita in un museo archeologico è un felice corto circuito e rappresenta il connubio perfetto tra arte, storia e ironia.
Un piccolo suggerimento per indirizzare l’umanità nella giusta direzione, cosicché dei futuri postorici non abbiano ad esistere mai.

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giovedì, maggio 28, 2009

 

Dick Tracy e Andy Warhol

$175,000.00, 128.563 euro, ci si potrebbe comprare un bivano in molte città. È il prezzo su ebay per due pezzi di carta incorniciati. Il primo è una tavola di Dick Tracy presentata come "original art comic strip" di Chester Gould, datata 11 agosto 1951. Il secondo frammento di carta non ha carattere di reliquia. Non è un originale, solo una piccola riproduzione, un brandello, del quadretto che sarà poi rivisitato da Andy Warhol nel 1960. La versione autentica dell'autore che diventerà il sinonimo della Pop Art americana è molto più grande, realizzata tramite un proiettore che sparava su una tela le immagini pescate dalla carta.
All'epoca, senza alcun obbiettivo commerciale in mente, Warhol, così come sistemava in file apparentemente senza fine bottiglie di Coca Cola e barattoli di zuppa Campbell, aveva cominciato riprodurre secondo le sue varianti anche alcuni personaggi classici delle comic strip: Popeye, Superman, Mickey Mouse, The Little King e appunto l'eroe tutto di un pezzo ideato da Chester Gould. Anche loro erano consumo di massa, sui quotidiani, simboli della cultura del tempo. La tecnica di pittura è nota. Copiava il profilo con la matita e poi utilizzava una nuova vernice, appena inventata e chiamata synthetic polymer, che dava un effetto brillante e plastico.



L'importanza della tavola, e quindi il suo folle prezzo (inizialmente era quello di un asta, poi è stato così fissato), sembra essere data dal fatto che proprio dal quel secondo quadretto, e non da altri, sarebbe stata tratta l'immagine di Dick Tracy realizzata da Warhol (sotto). La follia dei collezionisti supera qualsiasi logica, anche quella squinternata dell'alfiere della pop art. Esisteranno chissà quante altre pose analoghe di Tracy nella sua lunga storia. In quanto eroe bidimensionale nell'aspetto, nello spirito e nelle movenze aveva una gamma di espressioni inferiori persino a Sylvester Gardenzio Stallone. Era un'icona in tutti i sensi, non come si usa spesso dire abusando del termine. Lo era di fatto. Sarebbe come dare valore a una delle lattine di Campbell. L'unicità dove può mai stare? Warhol, attirato dai prodotti di massa, dedito alla riproduzione in serie, con migliaia di opere impacchettate e sigillate e archiviate, si sganascerebbe oggi di gusto.



Più interessante ancora l'aspetto della trasfigurazione di Tracy. La sua ascensione come immagine avvolta nelle morbidezze pop non è roba da poco. La trasposizione è notevole e toccherà vertici romantici poi nella versione cinematografica con Warren Beatty e Madonna. Su questo passaggio si è ricamato non poco in un vecchio articolo sul New York Times, dal titolo "How A 30's Stiff Became A Charmer For The 90's" (Come un duro degli anni '30 è diventato un fascinoso dei '90). In effetti è una sorte bizzarra assai considerato che Tracy era un eroe tutto d'un pezzo, per niente stravagante, costruito in maniera semplice, lineare e furba per i lettori dei quotidiani. Sempre preso dal lavoro, vestito sempre in modo ordinario, non aveva una vita privata - sarà uscito due volte con Tess Trueheart - e neppure una pubblica, niente sentimenti, niente sogni, niente hobby, poliziotto 24 ore al giorno, unidimensionale. Con Warhol inizia appunto l'umanizzazione e la trasfigurazione del personaggio nell'immaginario collettivo. Beatty porterà il processo alla fine, trasformandolo in eroe sensibile, elegante, seducente, lontanissimo dal poliziotto di carta con il bianco da riempire lasciato alla fantasia dei lettori.

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mercoledì, agosto 08, 2007

 

Gli originali, una riflessione di mezza estate di Mak (seconda parte)



[Seconda parte del discorso di Mak rivolto con divertente furia iconografica a smantellare il significato e l'importanza dell'originale (ma l'aveva scritta prima della contro riflessione di Cius, non è una risposta). In realtà ci dice una cosa che forse già sappiamo e sulla quale non si può non essere d'accordo: in molti casi non esiste un originale. Ancor più oggi non esiste se l'opera dell'ingegno è realizzata con mezzi informatici.
Questo vale anche in molti casi di opere artistiche già prima dell'era informatica: quale sarebbe, ad esempio, l'originale di una composizione musicale? Lo spartito? Ovviamente no. Però di fatto tanti si svenerebbero per possedere uno spartito "originale" di Beethoven, con le note scritte da lui. C'è una distorsione di fondo nel ragionamento: l'originale non è l'opera d'arte, non si identifica con l'opera dell'ingegno (con l'eccezione delle arti figurative tipo pittura o scultura). Tanto è vero questo che l'acquirente di un originale non è titolare dei diritti d'autore su di esso. Non certo dei diritti morali (inalienabili, non può alterare l'opera, non può non riconoscerne la paternità, ecc) e nemmeno dei diritti economici o di riproduzione (che invece sono cedibili ma non sono affatto legati alla cessione dell'originale).
Qual è allora il valore dell'originale? Beh, storico innanzitutto, e non è poco. Autobiografico, una autografia tangibile dell'autore. Ma nelle arti figurative, e i fumetti possono rientrare tra queste, c'è di più. C'è l'emozione del contatto visivo con l'opera. Che fai, caro Mak, se un giorno vuoi mettere su una mostra? Porti dei cd, porti i monitor? Il freddo ci ucciderà.
Pictures at an exhibition, "Quadri di un'esibizione", Mussorgsky (o, se volete, la gustosa versione pop degli Emerson, Lake e Palmer negli anni '70), raccontava in musica le sensazioni trasmesse dal girare per una mostra, che sono ben altra cosa dal vedere le opere nel migliore e più lussuoso dei cataloghi. E le esposizioni di tavole di fumetti si fanno ancora, eccome. Certo, ci si può portare la perfetta riproduzione meccanica, bella grande, di un lavoro realizzato con la tavoletta grafica. Ma vuoi mettere con l'emozione di trovarsi a meno di mezzo metro dal becco i colpi di matita e le sfumature di Pazienza, i veri colori di Barks, le incertezze dell'ultimo Schulz, le correzioni di McManus.
Vero è anche che le nuove generazioni di cartoonist, anche quelli che non usano la tavoletta grafica, tendono sempre più a rielaborare parte delle tavole al computer, usano font per il lettering, non più scritto a mano. Inevitabilmente di originali veri non si può più parlare. Stanno sparendo, scompare l'idea. Ma non la loro bellezza.]

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giovedì, agosto 02, 2007

 

Gli originali, una contro riflessione di mezza estate di Cius

www.quiff.it[Dibattito! Sul tema degli originali Cius ci offre un punto di vista che è ben più di un commento. E allora apriamo un altro post. Quasi contro tecnologica, come leggerete, la sua voglia di originali genuini, sempre pensato che l'amico Fabrizio Mischiati fosse il più "contadino" (con tutte le valenze positive di questo aggettivo) tra i nuovi cartoonist. Un vero contro altare alla visione di Mak di ieri.]




Che si disegni a computer o che lo si faccia su carta un autore produce in quel momento un originale. La prima copia visibile a terzi della sua immaginazione. Guardare una strip a computer o toccarla con mano attraverso un mezzo come la carta può dare sensazioni diverse, ma lo scopo, e cioè comunicare, è comunque raggiunto. Il lettore ha ricevuto il messaggio.

C'è da tenere presente una cosa però: l'autore che usa un computer produce una prima copia del suo lavoro che ha lo stesso valore della millesima o della milionesima, essendo di fatto sempre la stessa più volte riprodotta. Quando una delle copie finisce in un medium diverso: sito web, carta, televisione, giornale, rivista, ecc, assume un altro valore. Il valore che nasce dal suo utilizzo. Stessa cosa per l'autore che lavora su carta: dopo aver trasformato in bit il suo lavoro, il valore nasce dalla riproduzione dello stesso su destinazioni diverse, avendo però in più, un valore aggiunto: l'originalità di cui si discute tanto, appunto. Quel pezzo di carta dove sono stati impressi per la prima volta le linee e i colori ha un valore tutto suo. Valore nato dai materiali utilizzati e dalla tecnica scelta.Quel pezzo non assume più significato di "stampo" ma di "opera". Perdere le copie digitali non ha importanza se l'originale è salvo, da lì altre mille copie più o meno perfette possono essere riprodotte. Perdere l'opera sorgente significa lasciare della stessa solo tracce simili di sé.

Paradossalmente poi per chi disegna a computer "l'opera sorgente" si trasformerebbe dal disegno al file che lo contiene. Il contenuto si trasforma in contenitore. Quel file con una certa data e con una certa grandezza definisce il "primo", l'"originale". Qualsiasi altra copia ne è un semplice clone. Legare il concetto di valore ad un formato effimero come un file (alcuni tra anni potrebbero non essere più leggibili dalle future tecnologie) è un po' avventato e sicuramente singolare.

Discorso a parte va fatto per la velocità e la fruibilità dei nuovi mezzi tecnologici. Certo disegnare con tavolette grafiche permette di essere molto più produttivi, permette di abbattere i costi dei materiali, permette di non sbagliare più, di ottenere da subito un prodotto finito e pronto per la distribuzione. Disegnare su carta ha i suoi contro, dalla fragilità del mezzo alla difficoltà della tecnica (un pennino con china non sarà mai semplice da utilizzare quanto una penna ottica e un acquerello richiede una tecnica che su tavoletta si può benissimo non avere), oppure dalla difficoltà di correggere gli errori, dalla necessità della trasformazione digitale e delle relative apparecchiature, ecc. Scegliere il mezzo è una decisione personale. Decidere se si vuole innalzare la produttività o la qualità sta all'autore. Personalmente sostengo che il concetto di "opera" e di conseguenza di "originale dell'opera", stia nella realizzazione dell'idea e nei materiali con cui viene realizzata. Vedo l'informatica come un ottimo mezzo di diffusione e presentazione non come un supporto definitivo e concreto che sostituisca carta e inchiostro o altri supporti tangibili.




Questa è l'unica (per il momento) tavola di Quiff interamente realizzata a mano. Per i maniaci: carta Schoellers serie Durex 250gr, inchiostro Faber-Castel PITT artist pen, dimensioni totali 21,5cm x 8,2 circa. L'unico intervento al computer è stata la scansione. Per l'occasione non l'ho neppure ripulita dagli sgorbi a matita. È un regalo virtuale a Balloons e a tutti quelli a cui piace Quiff (pochi ma buoni). Credetemi, realizzarla è stata una goduria: altro che il Shift+Ctrl+Z di Photoshop, riquadri già pronti, scritte preimpostate, la firma, il lettering... cose che erano mesi che non facevo più. Bello riappropriarsene. In questi giorni sto pensando di spendere un po' di euro e farmi un regalo. All'inizio pensavo ad una tavoletta grafica pure io, poi ho visto un magnifico set di acquerelli di ottima marca in una vetrina di un negozietto di belle arti e me ne sono innamorato. Forse prendo quelli. E io manco li so usare bene gli acquerelli. Può essere che ci prenda gusto e che le prossime tavole di Quiff in futuro siano tutte realizzate a mano. E può essere pure che così facendo non riesca più a tenere il già misero aggiornamento alla settimana sul blog... vedremo.
Al diavolo le statistiche e gli accessi giornalieri.
Cius
www.quiff.it

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mercoledì, agosto 01, 2007

 

Gli originali, una riflessione di mezza estate di Mak (prima parte)

[Tutto è nato da una richiesta a Mak, alias Marco Dambrosio, l'autore di Rufus che da qualche settimana vi allieta il venerdì. "Potresti regalare un originale?"
Lo chiedevo per il piccolo museo delle comic strip Balloons, non per appenderlo come trofeo nello studio, come se fosse l'equivalente di una testa di cervo per un cacciatore di comic strip. Dambrosio ha proposto in risposta una spassosa riflessione sul tema, secondo il suo stile, con spunti anche molto seri. C'è da ragionare, per chi ne abbia voglia, su cosa significa produrre un lavoro artistico nell'epoca informatica. Una prima risposta paradossalmente può arrivare dalla stessa antica tutela legale del diritto d'autore che da sempre, come vedremo, si guarda bene dall'identificare l'opera dell'ingegno con il primo supporto materiale su cui è realizzata. Ci ritorneremo ancora, soprattutto quando uscirà la seconda puntata che attendiamo.
Al tema degli originali avevamo dedicato
uno dei primi post su Balloons, ma era appena didascalico. Qui invece il discorso si fa più serio ma anche molto più divertente.]





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mercoledì, novembre 08, 2006

 

Gli originali

Guardando i libri dedicati ai grandi autori americani uno si fa un’idea di
queste tavole, immense, grandissime. Questo è il grande Herriman, autore di
Krazy Kat, appisolato al tavolo da disegno. Si racconta che sia stato visto
solo una o due volte senza cappello.

Le strisce venivano poi microfilmate per la stampa sui giornali. L’aspetto bizzarro della questione è che partivano così grandi per andare poi a combattere una battaglia storica per gli spazi. La tendenza infatti è stata quella di offrire zone sempre più ridotte e strettamente delimitate. E spesso i quotidiani hanno stravolto il layout volendo impaginarle a modo loro.


Schulz il creatore dei Peanuts (30 anni fa e passa).


Dicevamo delle dimensioni delle tavole originali. Un aspetto che colpisce delle nuove generazioni di cartoonist italiani è che disegnano su fogli piccoli, quelli normali da disegno o spesso dei banali A4. Talvolta due, persino quattro strisce per foglio. Non riconoscerete di sicuro quello all’opera sotto, è un talento ben sommerso. Gabriele Montingelli, sciamannato, discontinuo e pigro autore di Ludwig. Trovate una selezione di divertenti strisce su http://www.lud.it/.




Disegnare una striscia è un momento di operosità felice e allo stesso tempo di assenza. Il mondo c’è ancora intorno ma te ne dimentichi. Stai creando un altro piccolo pezzetto che vive in parallelo su un foglio di carta. È anche un piccolo rito, come il tirare fuori tutte le fedeli scatole degli attrezzi per officiare la rappresentazione. Passate le prime pause, in cui fai parlare la striscia e calcoli e provi, riprovi il ritmo e la sequenza, dopo tutto scorre veloce.

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