lunedì, ottobre 25, 2010
Dove va Palmiro?
Esce a cura della DOUbLe SHOt il secondo album di Sauro Ciantini "My name is Palmiro". È la seconda tappa editoriale di un progetto ambizioso, una sorta di collana chiamata "À la recherche du temps perdu" annunciata in ben dieci volumi, che segna il ritorno del piccolo "anatro".
Premessa fondamentale: il nuovo Palmiro è qualcosa che si presta a giudizi sfumati. È un ibrido che inevitabilmente sorprende, per ragioni diverse, il vecchio e il nuovo lettore. Probabilmente da digerire prima di intuire e apprezzare la forma compiuta. Non è solo una questione di anziani e nostalgici partigiani della forma striscia che avrebbero sempre voluto vedere l'anatroccolo agitarsi nel classico teatrino dei tre quadretti. È che proprio non capisci e vorresti ragionarci su. Ed è anche bello non capire, buon segno, vuol dire che non è la solita roba.
Ma chi ha voglia in questi tempi di una recensione dai toni sfumati? Maleducati ancor più ormai dalla faziosità degli schieramenti di Facebook, viviamo di giudizi tagliati con il trinciapolli, via di fretta: "figata" o schifezza, pollice su o giù, buono o cattivo, senza pensarci tanto. Tanto c'è qualche altro input da seguire due secondi dopo.
E allora vi elargiamo una doppia recensione. La prima farà felice la frettolosa plebe di internet scegliendo tra bianco e nero. La seconda, più problematica, è dedicata ai pochi più pazienti segaioli mentali.
Via con la prima: vale la pena di comprare My name is Palmiro? Decisamente sì. Perché? Sulla scena del fumetto italiano è qualcosa di davvero nuovo (anticipiamo dalla seconda parte e specifichiamo: nuovo non è necessariamente uguale a bello, ma questo Palmiro è sorprendente), Ciantini disegna da Dio in questo album, con una tecnica visionaria sfrenata, come mai l'avete visto (a parte forse i pochi che ricordano le illustrazioni fuse nella storia di Enrico Brizzi "Lennon Guevara Bugatti"). La DOUbLe SHOt si conferma ancora come editore di qualità e il volume è molto curato.
CLIC QUI PER LEGGERE TUTTA LA SECONDA RECENSIONE ...
Via con la seconda.
In teoria non dovremmo occuparcene. Fuori competenza, in questa uscita Ciantini abbandona la forma striscia e catapulta la sua piccola icona pennuta, senza alcuna modifica, in complessi scenari, sceneggiature e stili da graphic novel. L’album non sorprenderebbe sotto un marchio nobile come quello della Coconino, gusterebbe assai a quel editore e quella nicchia particolare di lettori. Ad ognuno il proprio mestiere, verrebbe da dire cercando una bacinella per lavarsi le mani e anche il modo per uscire dall'impaccio. Ma con Giuseppe Scapigliati, compare e complice, siamo stati padri adottivi e padrini di Palmiro, quando più nessuno pensava e si ricordava di lui. Con una recensione d'amore fuori da tutti i tempi quando su carta non appariva più, con una mostra di appassionata ripescando e glorificando tutto il passato. E allora non possiamo almeno chiederci dove Palmiro stia andando. Se sarà un addio o un arrivederci questo poi si vedrà.
Bene, caricato il fucile a pallettoni e sale possiamo sparare ad alzo zero. Dalla trincea questa volta, con il volume uno non potevamo, avendo scritto la prefazione sarebbe stato fuoco amico.
Tre le storie contenute nella raccolta. Una breve dal titolo "Punti di vista" dove assistiamo alla colazione psichedelica e umoristica di Palmiro in attesa dell'onda d'urto provocata da un meteorite. Due un po' più lunghe, entrambe sul filone dell'amore perduto con il papero in veste di attore nella parte del moroso sofferente. "La ragazza dei biscotti" è in ambientazione futuristica. "Charlotte" (definito con pomposa ironia "romanzo illustrato") gira invece su toni dark e gotici ed è tratta da un racconto di Massimo Cavezzali.
È un vezzo un po' comune. Arrivati a un certo punto del camin della nostra vita vogliamo l'opera maestosa. Sei uno splendido artigiano pop come Paul McCartney e niente, devi, proprio devi scrivere il concerto sinfonico, anche se sapevi fare bene altro e l'accademia colta ti disdegnerà e i vecchi fan non ti seguiranno (se volete la lista degli esempi, specie tra i musicisti pop, è lunghissima). Sei un giornalista e devi scrivere il libro, perché solo quello di almeno tre dita di spessore ti darà il riconoscimento sociale sempiterno. L'opera teatrale, il film di sangue e lacrime, il romanzo. Anche i media hanno il loro olimpo mitologico. Nel campo dei fumetti lo status symbol è la graphic novel. Vai a spiegare a quei due bravi ritrattisti, acquerellisti, due Pinturicchio, a quei maghetti del minimalismo grafico fumettistico di Ciantini e Cavezzali che sono splendidi nel passo e nel respiro breve. Fatica sprecata, sognano la Cappella Sistina altrimenti si sentono ancora come dei madonnari da strada. Sognano i romanzi, ci hanno già provato con una serie di gialli.
Il versante della narrazione è alquanto inflazionato, diventato ormai per tutti la forma egemone. Ma l'offerta editoriale è anche molto piena di mattoni. Nel senso di opere che partono magari bene, con un paio di idee suggestive, ma poi non si sa dove vanno a parare, diventano pesanti e stiracchiate nei finali e si vede. Nelle graphic novel ormai è un limite comune.
Vediamo un po' quel che Ciantini butta dentro il minestrone dei vari racconti. Orrore alla Edgar Allan Poe, non solo nei testi con la complicità del compare Cavezzali ma anche con la pece nera e il terrore surreale di tante tavole. Mitologia western, e via con i "Jimmy", i dollari e il treno per Baltimora (un nostrano Lamezia Terme no, eh? Già, dimenticavamo, non fa fascino). Millenarismo e catastrofismo, e dai con date di scadenza del mondo già segnate nell'agenda, il meteorite che incombe e l'inquinamento degli oceani. Persino fantascienza, ragazzi, con un futuro folle e astruso che sembra la prosecuzione ancora più persecutoria dell'incubo tecnologico e internettiano presente. E ancora: la donna perduta, lontana, desiderata, mai raggiunta, invisibile, ritrovata ma inutilmente, l'amore infelice insomma, giostrato dai tempi di Petrarca e Dante.
Molti luoghi, topoi, della letteratura abusati. Ma signor Ciantini, non è che c'è voglia di strafare? Non saranno poi così tanti gli ingredienti da non distinguere più odori e sapori della zuppa? Che cosa davvero ci voleva raccontare? Qual era l'impellenza del narrare? Che cosa ricordiamo una volta chiuso l'album dopo esserci rifatti gli occhi con quel sublime disegno e quelle superbe visioni?
Verrebbe da suggerire al maestro Ciantini: esca da quello splendido kibbutz che si è costruito al Mugello e si faccia due passi tra la gente, a respirare gli umori della vita comune, quella reale. Ah, già, come racconta nell'introduzione, ha scarabocchiato le idee a Portopollo. Da quando l'ameno villaggio corso è uno degli ombelichi del mondo?
Un aspetto buffo: una delle prediche del Maestro Ciantini ai giovani autori riguarda l'omogeneità dello stile o meglio dei canoni di disegno. E qui invece ci mostra come stabilita una regola si possa violarla e sbeffeggiarla quando la si conosce per bene. Così assistiamo al Palmiro, sempre disegnato come un'icona da comic strip in modo semplicissimo, inserito in tavole dal disegno colossale e particolareggiato. E poi la pagina dopo ancora ritorni di disegno iconico e ogni tanto persino qualche tocco di realismo (osservate le scarpe della ragazza dei biscotti).
Il guaio infatti è che poi il gioco funziona, quel dannato paperino sta bene dappertutto. Con quell'aria perplessa e attonita, con quella sua capacità innata di incassare tutto potresti incollarlo anche in un trittico demoniaco di Hieronymus Bosch. Poi, se è un po' vero che tutte le storie sono state già raccontate, conta poi il modo con cui si narra. E sono divertenti quelle prospettive alternate tra il minimalismo domestico del piccolo Palmiro, inetto e impotente di fronte a un universo colossale, sempre alla presa con la sfiga, e quei maestosi scenari incombenti su di lui.
C'è una volontà di sublimare la visione e le emozioni. Tenebre terribili, figure da incubo, paesaggi inimmaginabili, grandiosi e vertiginosi. Ciantini ci fa vedere quello che non immaginavamo. Rispetto a certe mattonate delle graphic novel la grande differenza è che la raffigurazione è intinta in una discreta dose di ironia e non si prende mai troppo sul serio persino nei pochi tratti di disegno realistico. In questo l'autore e il suo nuovo album sono davvero speciali. La fantasia fantasmagorica del disegno è però molto superiore all'inventiva del narrare e delle trame, spesso modesta e intrappolata in attempati cliché. La colazione di Palmiro prima della fine del mondo- guarda caso proprio quella dal respiro più spiccio - è forse la storiella migliore, con tutti quegli oggetti trasfigurati con l'umorismo della scuola Mariscal.
Ci manca molto il vecchio Palmiro. Ci sorprende molto il nuovo, che poi tanto nuovo non è.
Raccontava Flaiano che addormentarsi davanti a un'opera, film, teatro, concerto o, perché no, un libro, è un buon segnale. I lavori cattivi irritano e allontanano il sonno. E allora fate un test, vi piace leggere prima di dormire? Portatevi "My Name Is Palmiro" 2 a letto. Ah, il treno per Baltimora (per Vibo Valentia no, eh?), ah, il disegno favoloso di Ciantini. Ronf. Ronf.
Etichette: novità editoriali, Palmiro, segnalazioni, Strisce Italiane
Quella che aveva dieci velocità come la vita.
Questa è quella di Schulz.
Io non ho capito quella di Poe invece.
Sauro, gentilmente, potresti mandamene una copia che poi ci scrivo anch'io una recensione? Grazie.
Complimentissimi, Maestro.
Max fa sempre queste recensioni bizzarre. Mi piace perché è intellettualmente e sentimentalmente onesto, e se ti fa un complimento è perché è quello che pensa. Poi ti dà una bella scudisciata per controbilanciare.
E' acquistabile a Lucca? Fosse solo per il fatto che così ho l'autore da importunare per ore, allo stand.
Per ore.
Signor Mastrosauro, le chiederò 82 disegni, Palmiro che dice "W", Palmiro che legge la lettera della fidanzata lontana, Palmiro che fa le flessioni, Palmiro che prepara la bagnacauda, Palmiro che disserta di filosofia morale con Kant e Rumenigge.
Specie a cena.
Credo mi porterò dietro un bel martello d'epoca, da falegname, appartenuto a Mastro Geppetto.
A buon intenditor poche parole.
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