giovedì, novembre 01, 2007

 

Il Maestro e l’apprendista stregone - prima parte

www.quiff.itCambiamo un po' stile per un paio di testi. Nelle prossime righe, scritte da Cius, diventiamo un diario, come è nella natura di molti blog. Un po' intimista, ma ci farà bene staccarci dal solito modo di presentarvi strisce, libri ed eventi. Succede che Fabrizio (Cius) decide di indossare l'umile veste dell'allievo apprendista. Aveva tempo prima incontrato il grande Roberto Totaro. Passano i giorni, i mesi, qualche scambio di mail e prende coraggio. Ha voglia di lezioni dal vivo, con carta, colori, bozze, qualcosa che gli mancava fuori dai riflessi del solito monitor. Da tempo aveva voglia di impiastricciare mani e pennelli su nuovi percorsi di carta. Chiede una lezione a Tot e decide di andare a trovarlo. Questo è il racconto in soggettiva e ve lo serviamo in due puntate. A noi è piaciuto.

Max





Che ci crediate o no il maestro sulla rupe esiste davvero. E non ci sono strade tratteggiate su nessuna carta stradale che indichino la via per arrivarci. Voi potete prendere la macchina ed infilarvi fin davanti al cancello di legno che delimita l'ingresso, pensare di essere arrivati e sbagliarvi di grosso: il vero viaggio inizia da lì. Inizia nel momento in cui lo si vede arrivare a stringervi la mano e ad accogliervi, inizia quando si chiude la porta di casa e il mondo reale viene lasciato fuori per entrare in quello della fantasia dei bambini e dei grandi mai cresciuti.

Esiste davvero il saggio che appollaiato sul cuculo della montagna dispensa consigli e parla con i viaggiatori. A me è capitato di incontrarlo in un giorno pieno d'autunno. Quando le foglie ti ricoprono la macchina e la fanno sparire, quando il freddo ti colora le guance con un colpo di rosso dalla tavolozza. Mi servivano consigli, idee, ma sopratutto un contatto, un confronto. Avevo raccolto tutto: i miei acquerelli, i miei colori, i pennelli, le prove, le chine, insomma un fagotto di sogni e aspettative che al momento giusto sarebbero state offerte a qualche musa ispiratrice delle montagne tutt'attorno.

A casa di Tot ci si adatta presto, tutto è genuino e la spontaneità arriva subito: si ride, si scherza, ci si diverte. Discutiamo del bistrattato mondo dei comics in italia, mi fa vedere le locandine dei corsi di disegno che da 11 anni tiene nella sua città. Mi parla di Nirvana, dei vecchi lavori e dei progetti nuovi. Poi finiamo su per una scala, nello studio, lui si preoccupa del fumo delle sigarette e del disordine, io rido e mi trovo già a mio agio tra barattoli di ecoline, pennelli, fogli, carta, stampe. Un mondo capovolto. Dove nulla è al suo posto ma, come in una tela impressionista, l'effetto finale è stupefacente.

È come essere nell'anticamera della fantasia più sfrenata. È la sua stanza dei giochi. Tira fuori vecchi originali della Disney, con cui ha collaborato per anni, passati a china in modo egregio. Mi soffermo sui particolari, lui dice che è roba vecchia e che "non gli appartiene", e allora mi dà in mano le tavole coloratissime de I Tecnocratici. Io le scruto con occhio avido e mi ubriaco di azzurri, rossi, verdi. Basta. Sono già in un altro mondo, il resto è scomparso. Lui va e viene, mi fa vedere raccolte, albi, schizzi, bozzetti.

Cominciamo a darci da fare. Mi guarda i pennelli, la scatola degli acquerelli, le penne. Io mi vergogno come alla visita militare e com'era ovvio mi dice di buttar via tutto. Solo la scelta della carta avevamo in comune: "poco ma buono" mi dico, è un inizio. Ci ritroviamo così con un foglio fissato su un cartone e la matita che corre veloce. Il tema è l'elefantone de "Il corriere della Giungla", il nuovo lavoro che verrà pubblicato a breve, realizzato interamente a china ed acquerello.Mi dice, mentre passa i neri, che ha cominciato a colorare alcuni suoi lavori anche a computer e che non disdegna nessuna tecnica. "Il colore digitale dà un'aria più fresca e moderna, la china un po' retrò e ci vuole una buona stampa per esaltarla, sennò diventa piatta e spariscono tutti gli effetti che hai ricercato per giorni". Si alza ancora, va ad asciugare il disegno con il phon, mi parla dall'altra stanza e non capisco, poi torna e mi chiede perché uno come me, informatico ed informatizzato, voglia tanto sfruttare i mezzi classici. Perché ci tenga così tanto alle campiture e agli effetti tipici dell'acquerello. "Toh, vecchia discussione!" penso io. E poi banalmente rispondo che è una preferenza, un mio gusto personale, non di certo un capriccio, è quello che mi sento di fare.

Allora mi racconta dei tempi in cui anche lui ha fatto scelte controcorrente. Di quando ha lasciato la Disney per dedicarsi alla SUA espressione personale. Di come non poteva più soffrire di dover disegnare cose scritte da altri. Di come la frustrazione per l'impossibilità di esprimere quello che provava l'ha portato a creare un personaggio tutto suo, uno stile tutto suo, un mondo personalissimo. Mica scherzi. Abbandonare un nome come la Disney per l'ignoto è roba da far tremare i polsi a molti. Eppure la spinta "dal di dentro" era maggiore. Quello che lui aveva da dire non poteva più aspettare. Mi parla della fortuna che hanno gli esordienti a non aver subito influenze di "stile" come le sue. Staccarsi dalle solite curve, dalle solite pennellate, passando dall'approccio sistematico a quello dinamico, è difficile. "Adesso mi ci vuole il tempo per disegnare e il tempo per concentrarmi sulle battute. Non si può fare l'uno e l'altro. Nella testa bisogna fare spazio e svuotarla di tutto per accogliere tutta l'ironia e la comicità di quello che ci circonda". Sante parole. Gli dico che anch'io ritengo in tutta sincerità che la parte più difficile rimanga la creazione "mentale" della strip. Lo sviluppo pratico è puro divertimento. Lui sorride, si alza e si scusa con me: "vado fuori a fumarmi una sigaretta sennò muoio, aspettami qui".




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