giovedì, settembre 06, 2007
Barnaby di Crockett Johnson (prima parte)
Non c'è gusto ad immaginare qualcosa che già esiste nella realtà.
In una tavola, chiave per comprendere il senso di questo fumetto, Barnaby lo dice in modo molto diretto a una nuova amichetta, sua coetanea, figlia dei vicini appena arrivati. Jane, la bambina, vuole giocare a "marito e moglie", alla guerra, simulazioni del mondo adulto, vere, esistenti.
Barnaby non immagina, va oltre. Ha un mondo fantastico, imprevedibile, vissuto ad occhi aperti. Non è separato dal velo del sogno come nel Little Nemo di McCay. In qualche tavola il bimbo racconta che può sognare i bizzarri personaggi che accompagnano le sue giornate, così come sogna il papà o la mamma (mandando così in frantumi la speranza dei genitori di dimostrare la tesi delle visioni oniriche). L'universo di Barnaby è diverso anche dai modelli fiabeschi ereditati dal mito, dalle favole, smontati anzi con ironia dell'autore. Va detto che Crockett Johnson attinge a piene manate da quell'immaginario (nell'albero genealogico cercate anche, ma non solo, Alice in Wonderland e Peter Pan) per poi divertirsi a strapazzare e spostare un po' tutto. Streghe, fate, elfi, fantasmi sono insolitamente differenti, non proprio come li ricordavamo.
Che cosa si racconta nella strip di Barnaby? Cominciamo dallo sfondo, quello che intravediamo agli inizi delle vicende. La striscia nasce nel 1942, in piena seconda guerra mondiale. Il mondo degli adulti è pieno di formalismi, più accentuati dalla tensione che richiedeva nelle comunità ancora più coesione sociale. Il terrore delle bombe, oscuramenti, regole, un alto senso del dovere come valore principale. Razionamenti, economia povera di guerra, la radio come medium dominante. Non c'è aria per fantasie.
Un bambino, Barnaby, vive la sua infanzia. Pacato, tranquillo, distaccato. Spesso osserva il mondo con le mani intrecciate dietro la schiena. La mamma una sera gli racconta una favola: una stella lucente brillò e apparve una Fata Madrina. Barnaby desidera averne una ma la madre lo riporta subito alla realtà. Non esiste una fata che si prenderà cura di lui. In parte avrà ragione. La notte - la finestra è aperta - Barnaby osserva fuori. Vede volare dentro la stanza un ometto grassoccio. È un fato padrino. "Cushlamochree", esclama (vecchio modo di dire gaelico, è solo la prima di una serie di strane espressioni che tirerà fuori).
Si chiama Mr. O'Malley, ha un naso grosso, un paltò verde e soprattutto un paio di assurde alette rosa. La bacchetta magica è un lungo sigaro. Non ha alcuna abilità. Non ha certo il il physique du rôle. È goffo, dovrebbe esaudire i desideri ma è un simpatico millantatore. Per il bambino esiste e solo questo cambia la sua vita e quella della famiglia.
Altre creature sotto la guida di O'Malley cominciano ad affollare l'universo di Barnaby. Il bisbetico Elfo Irlandese McSnoyd, un cane che si scopre parlante di punto in bianco, un piagnucoloso fantasma con gli occhiali di nome Gus.
I genitori? Grigi, ingessati, spiazzati dai racconti del figlio. Sembra un punto comune a tutte le comic strip, come se gli adulti che li disegnano dovessero immergersi un'autocritica feroce. Non fanno mai una figura decente (bisognerà prima o poi aprirci una riflessione, è come se tutti i cartoonist rimpiangessero il bimbo perso che viveva dentro di noi, pensate agli anonimi genitori del Calvin di Watterson, all'assenza totale degli adulti nei Peanuts, solo la più recente Zits riesce a equilibrare il contrasto generazionale in modo intelligente). Quelli di Barnaby come rimedio, in uno dei primi episodi, non trovano di meglio che far esaminare il bambino dal dr. A. A. Smith (il nome in inglese risuona come se la parola "qualunque" cadesse dentro un pozzo), uno psichiatra che dovrebbe curare gli eccessi di fantasia dei piccoli come una malattia. In una spassosa fiaba degli equivoci il fato padrino sconvolgerà i risultati dei test.
Etichette: personaggi, storia, strisce e autori
"Da grande" faccio la psichiatra, è buffo ma comunque non sono mai diventata completamente "grande" e questo inevitabilmente lo trasferisco sul lavoro. Ovviamente non vuol dire che non curi le malattie psichiatriche (sennò non farei bene il mio lavoro) ma a volte mi è capitato, seppure raramente, di scoprire che esiste qualcuno che vive un po' come Barnaby: vive contemporaneamente in questo mondo (con efficienza nella media) e in un mondo diverso, senza le angosce tipiche del mondo psicotico che conosco molto bene.
Queste persone (finora solo due, ma tant'è) non le curo in senso classico, mi limito a "giocare" con loro, a scoprire questo mondo e ad incoraggiarne comunque la separazione da quello ordinario per evitare che un'esperienza insolita si trasformi, davvero, in psicosi.
Difficile da dire :-) però persone come Barnaby esistono davvero, anche se sono pochissime...
Non è niente di che, ma se ovlete curiosare:
http://alister.splinder.com/post/13723286
hai quasi anticipato alcune cose che dirò nella seconda parte dedicata a Barnaby che uscirà tra poco. Penso che ti interesserà.
Caro Alister,
ho visto il post che hai scritto trainato da questa riscoperta. Bello. Non è tanto una questione di nostalgie. Una delle ragioni dell'esistenza di Balloons è anche quella di ricordare che non esiste solo l'ultimo fumetto pubblicato da consumare ma anche un grande patrimonio di strisce che hanno fatto storia e tante volte sono state frammenti della formazione di alcuni di noi.
Nota a margine. Ogni tanto fa piacere scoprire chi c'è tra i lettori. E più grande ancora è il piacere di sapere che ci sono comuni lettori, dei tranquilli consumatori di giornali, libri web come tanti altri e con tanti altri interessi, non solo specialisti cultori del settore, super appassionati o cartoonist. Le comic strip sono un fumetto popolare, generalista, non qualcosa di settario. Ci capita spesso di dirlo ma è una piccola gioia scoprire ogni tanto che è vero.
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