giovedì, dicembre 14, 2006

 

Come arrivarono i fumetti in Italia

Corriere dei piccoli. Supplemento illustrato del Corriere della Sera, 27 dicembre 1908. È considerato il primo fumetto pubblicato in Italia. Una copia in buone condizioni è andata all’asta a Milano lo scorso 24 novembre, partendo da una base di 1.800 euro. Bella storia, bella reliquia, si dirà, non abbiamo mai abbastanza valutato quanto convenga frugare nelle scartoffie dei nonni. E allora?
Bisognerebbe appenderne una copia in tutte le sale dove si dibatte sulla crisi del fumetto in Italia. O tenerla bene inchiodata in mente nelle infinite occasioni in cui si riflette e si litiga sulla questione. Per ricordarsi soprattutto “come” è iniziata la storia del fumetto dalle nostre parti.
Questo supplemento arriva dopo una decina di anni dal boom delle pagine di comic strip negli USA. Anche da noi il fumetto nasce sui giornali, gli editori intuiscono le potenzialità sulle tirature o, più pedissequamente, pensano che seguire il modello americano possa portare profitti.
Attenzione, però. Da noi arriverà un fumetto “non fumetto”, privo dei balloon. Guai a metterli, robaccia americana. Sono sostituiti da didascalie in rima baciata sotto. Parte con la zavorra di un pregiudizio originale (o chiamatelo peccato originale) enorme. È considerato un prodotto sottoculturale o meglio, esclusivo per bambini. Da li in poi sarà tutto un susseguirsi di giornalini, corrierini, per ragazzini, per piccolini, per piccini, per cretini, ci verrebbe da aggiungere, comunque tutto il possibile che faccia “ino”. Da tenere sotto il banco, da nascondere, da leggere solo nell’infanzia, buoni per bacchettate dalla maestra, da tenere lontano dagli adulti.
Solo verso la metà degli anni ’60 iniziano i primi segnali di vero sdoganamento, con riconoscimenti da parte di autorevoli intellettuali. Celebre il dibattito tra Eco, Vittorini e Del Buono, al tempo della nascita della rivista Linus. Giusto segnali, perché il pregiudizio da noi è ben radicato e ha una lunga storia.
A monte, ancora più su, c’è una più generica diffidenza verso l’illustrazione, considerata una rozza stampella della lettura. Dimenticando che grandi capolavori di Dickens o Manzoni, come i Promessi Sposi, nascono nelle versioni originali con illustrazioni che raccontano e non sono solo al servizio del testo.
Solo le vignette satiriche di veloce consumo hanno trovato spazio e popolarità tra gli adulti perché considerate strumento di supporto per infiammare il dibattito politico dei superpoliticizzati e faziosi quotidiani italiani. Un fumetto popolare da noi non è mai veramente esistito. E ora chiedetevi perché nelle redazioni non fanno tanta differenza tra oroscopi, cruciverba e comic strip.

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Commenti:
Epperò la "generica diffidenza verso l'illustrazione" viene meno di fronte a un Paolo Uccello, un Botticelli, quella gente lì che proprio al testo rinuncia del tutto (e non sempre, a volte scappa lo striscione di latinorum) - se volete possiamo traslare sulle stampe che magari sono più affini. Diranno: è arte (boh). D'accordo, ma come si trasfigura un'immagine in "arte", in qualcosa di "valido"? Un quadro è una cosa da adulti; un romanzo è una cosa da adulti; un fumetto no. Perché? Forse perché il linguaggio del fumetto non lo insegnano a scuola, alla fine lo si impara a leggere solo da autodidatti. Ma come? Leggere un fumetto non è la cosa più facile del mondo? Certo, io "leggevo" fumetti quando ancora non sapevo davvero leggere, ma ancora oggi, a 25 anni suonati e con quintali di letture di fumetti alle spalle, posso dire di non saperli leggere con scorrevolezza. Se mi interrogate sui dettagli tecnico/stilistici dopo che ho girato l'ultima pagina, non vi so dire "ba". Solo qualcosina riesco a coglierla, in genere riguardo al "linguaggio", e soprattutto quelle cose che mi fanno pensare o ridere a crepapelle e poi le mostro agli altri e mi dicono "non ho capito" o semplicemente non apprezzano.

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E' vero che le vignette satiriche hanno spesso più cose in comune con i giornali in cui appaiono che non con le strisce che nei giornali NON appaiono, ma ammiro sinceramente alcuni autori che riescono, con una vignetta, a dire più di mille giornalisti con diecimila articoli - a volte è semplice: basta porsi UNA domanda (il caso che mi salta subito alla mente è Vauro - altri sono altrettanto sagaci ma meno "utili"). Ma queste sono eccezioni, ed è molto più facile trovare "satira" (tra molte virgolette) di disimpegno.

Uhm. Ve l'ho già detto, vero, che questo blog mi piace molto? :)
 
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