lunedì, dicembre 12, 2016
10 anni di Balloons - Il tempo di Andrea Grillenzoni
Il pregiudizio di cui parli c'è e forse, giusto per buttarla impropriamente in linguistica, quel significato pregiudizievole si stringe pure a un significante macchiettistico, "fumetto", con quel suffisso diminutivo da Club dei Perdenti Ma Bravi Lo Stesso.
Cinema!, senti come è più aulico; probabilmente se dicessi che sono un esperto di "cinemetto" mi guadagnerei qualche occhiata di compassione e un paio di schiaffi indignati. Vedo nell'irrompere del termine "graphic novel", contro cui non ho niente ma che più che indicare un sottogenere di fumetto pare quasi voglia usurparne l'intera onomastica, un tentativo di ripulirsi e di presentarsi più adulti con nomi nuovi (ricordo che Gipi, in un'intervista a riguardo, rivendicò invece con orgoglio il fatto di realizzare "fumetti"). Ma penso che, per tornare alla tua domanda, questo tipo di fumetto stia riuscendo a presentarsi (giustamente) come qualcosa di altro da gioviale intrattenimento per gli infanti, forse anche perché alcuni di quegli infanti stanno crescendo senza smettere di leggere fumetti. Per le comic strip il discorso vale meno, in Italia hanno sempre avuto difficoltosa collocazione, scontrandosi con la tradizione peraltro nobilissima della vignetta satirica sui quotidiani, al contrario degli Stati Uniti. Tranne isolate eccezioni, scarsa presenza, quindi scarsa dimestichezza, quindi scarsa reputazione. Dubito che Doonesbury avrebbe mai potuto vincere l'equivalente di un Pulitzer da noi.
Dopo la laurea ho fatto un po' di lavori tra cui il ninja, il cravattaro e la diagonale. Al momento lavoro per un'agenzia di concerti per la quale seguo i social network, faccio un po' di grafica e comunicazione e ogni tanto riesco a infilarci dentro un pizzico di fumetto (tipo nel 2015 nel Lucca Summer Festival ). E mi vedo un casino di concerti. AGGRATIS perché sono un POTERE FORTE, LA CASTA DI ME STESSO.
Ogni tanto disegno ancora, sempre malissimo, per coerenza. Sulla pagina che citi ho pubblicato roba d'archivio, materiale dell'Università, del liceo, delle medie, poi restavano le fototessera, due lastre e l'ecografia quindi ho dovuto riprendere a fare qualcosa di nuovo, di tanto in tanto, sempre guidato dalla forza che più di tutte ha contraddistinto la mia esistenza, la pigrizia. Sono riuscito a sviluppare questa formula: disegno minimo e una scritta, basta. Ma questo una volta alla settimana. Gli altri giorni solo la scritta.
Dovevo scegliere, o imparavo a disegnare o diventavo il più grande domatore al mondo di dodo. E chi lo sapeva che quegli uccellacci fossero intolleranti all'estinzione, al momento era parsa la scelta più intelligente. Ogni tanto provo a disegnare per migliorarmi, ma faccio schifo, quindi mi arrabbio, quindi smetto di disegnare, quindi non miglioro. La volta dopo stesso circolo vizioso, una frustrazione che non ti dico e neanche un dodo su cui sfogarmi. Onestamente penso di non essere portato per il disegno, anzi, non credo di essere portato proprio per il fumetto ma continuo saltuariamente a farlo perché siamo animali irrazionali stupidi e compiamo scelte incomprensibili, siamo peggio dei dodo.
Però è soprattutto un’altra la riflessione che volevo proporti, da osservatore del mondo dei fumetti. In questi dieci anni l’aspetto più rilevante è stata la trasformazione del modo di comunicare, monopolizzato dalla bacheca di Facebook. Per un disegnatore di strisce, vignette, ecc, non è la morte civile vedere affogare le sue proposte nel marasma di idiozie delle bacheche, senza nessuna gerarchia (se non quella dei mi piace), alla pari degli sfoghi di qualunque cazzone?
Riguardo la seconda domanda, il social network di Zuckerberg è straniante perché può metterti in fila il video del gattino che si scaccola, la testimonianza strappalacrime di un amico che ha appena perso un parente e un post complottista sui poteri forti dell'enigmistica. Registri diversi, gradi emotivi disparati, profondità totalmente dissimili, tutto frullato nello stesso bicchiere. "Anything goes", è la quintessenza del postmodernismo. Senza fare lo snob, non posso dire di essere un appassionato fruitore di Faceboook ma comprendo l'importanza imprescindibile dei social network. Io lo uso come canale (ho anche un blog a fumetti e uno misto testi/fumetti, giustamente ignorati) e se la mia chincaglieria si perde tra pappagallini che ruttano e cure omeopatiche per l'ambidestrismo, beh, le regole sono quelle.
Ma io che cacchio ne so (qui risponde l'osservatore). Non ci capisco nulla (qui risponde lo "studioso"). In dieci anni credo sia cambiato principalmente il mezzo, o meglio, quel cambiamento già in corso da tempo ha preso maggiormente corpo: ci sono molti webcomic che si esprimono in formato striscia. Online non c'è quel filtro che la carta (l'editore) opera, quindi quantità non significa necessariamente qualità ma ci sono fumetti davvero validi (e spesso, comunque, neanche la carta è una garanzia di eccellenza). Da amante dell'umorismo cattivo, apprezzo molto Cyanide & Happiness o Joan Cornellà (gli amici pedanti a casa faranno notare che, tecnicamente, si tratta spesso di tavole più che di strisce). Seguo da tempo anche Sinfest che negli anni ha cambiato atmosfere e registro, diventando più narrativa e meno scoppiettante, talvolta non convincendomi appieno, ma è disegnata benissimo e sempre meglio. Da lettore di Linus continuo a seguire, in particolare, l'insuperabile Dilbert, Doonesbury, Monty e Pearls Before Swine / Perle ai Porci che avevo scoperto sul sito del relativo Syndicate prima che sbarcasse in Italia (abitudine di consultazione e ricerca che ho un po' perso). Ogni tanto torno sui classici (Peanuts, B.C., Calvin & Hobbes...). Ci sono anche alcuni italiani che mi piacciono ma siccome sono un vigliacco che teme di dimenticarsi qualcuno non faccio nomi.
La striscia sparirà? È da quando ti conosco che ti batti per la sopravvivenza di questo formato ed è ancora qui: la morte più lenta della storia, un trapasso al rallenty, alla Peckinpah. Sicuramente ci sono altre modalità di fumetto che suonano più prestigiose, ne parlavamo più su, ma credo ci sia ancora spazio per le strip, sicuramente su web e un po' meno su carta; tra le riviste di settore è rimasta solo Linus, qualche scampolo si trova su pubblicazioni di altro tipo, come la pagina dedicata di Internazionale, ma penso che questa penuria di rappresentatività abbia più a che fare con una crisi dell'editoria che della striscia (o quantomeno entrambe le cose). Che futuro avrà? Nel duemila ci saranno le strisce VOLANTI, le strisce sulla LUNA e sicuramente strisce robot nate per servirci che impazziranno e ci apriranno in due come un giornalino. Ciao a tutti, stop.
Etichette: dieci anni di Balloons, interviste, strisce e autori, strisce tematiche
Iscriviti a Post [Atom]